Nabucco è considerato il primo capolavoro di Verdi e vi troviamo, all’interno di una trama corale forte rappresentata dal destino degli ebrei oppressi e dal contrasto di popoli e di fedi, l’emergere di due destini individuali di grande rilievo vocale ed espressivo, divisi fra desiderio di potere e amore.
A Firenze è stata riproposta la produzione creata da Leo Muscato per il Teatro Lirico di Cagliari, andata in scena un paio di anni fa al Comunale (recensita dal sito e a cui rimandiamo per un’analisi approfondita della regia) e insignita nel 2012 del prestigioso premio Abbiati. Lo spettacolo di Muscato risulta tuttora ideale per Nabucco, in quanto è moderno e tradizionale al tempo stesso: evoca l’oriente con giusta misura ed eleganza con un uso suggestivo di tableaux ma cura, come si conviene a un regista che viene dalla prosa, la recitazione e la portata drammatica della parola scenica verdiana.
Lo spettacolo convince a partire dall’impianto scenico di Tiziano Santi che ambienta la vicenda in uno spazio barbarico e sacrale delimitato da alte mura di pietra in cui si aprono squarci e fessure di luce che alludono simbolicamente a un altrove di speranza e libertà. La scena, oltre ad essere gradevole alla vista, è mobile e versatile: i pannelli scorrono e si aprono dei varchi per isolare l’azione drammatica rendendola pregnante e dare pieno risalto ai tableaux con cui è costruita l’opera, riuscendo altresì a separare con accorgimenti minimi (inquadrature, veli che calano dall’alto, giochi di luce) la componente pubblica da quella privata. Se pur venga privilegiato un movimento frontale di masse e personaggi, non appare mai scontato in quanto animato da verità interiore e la disposizione scenica risulta sempre curata e in sintonia con la situazione drammatica.
Contribuiscono alla riuscita dello spettacolo e alla giusta definizione dell’atmosfera i raffinati costumi di Silvia Aymonino, che si declinano in toni sabbiosi per gli ebrei e in un gioco di rossi e arancioni per i babilonesi. Anche la cura negli accessori (panneggi, calzari, monili, copricapi) contribuisce a evocare i fasti di Babilonia senza scivolare nel kolossal. Efficaci le luci di Alessandro Verazzi che sfumano da toni polverosi e cinerei a tinte orientali calde e avvolgenti con un sapiente uso del chiaroscuro che mette in risalto i drammi di singoli e masse.
Quasi tutto diverso il cast rispetto alla precedente edizione.Dimitri Platanias ha una voce baritonale morbida ed estesa, di cui si apprezza la linea curata e l’omogeneità di emissione, ma il suo Nabucco, soprattutto nella prima parte, non è abbastanza incisivo e stenta ad assurgere a ruolo protagonista; dal punto di vista espressivo il cantante convince di più nella quarta parte, dove trova i giusti toni drammatici e dolenti e la sua Dio di Giuda commuove il pubblico. Susanna Branchini ha temperamento e una presenza scenica forte, doti necessarie per Abigaille, ma la voce non ci sembra adatta al ruolo: gli acuti sono luminosi e penetranti ma il registro centrale è poco corposo e si avvertono limiti nell’intonazione e nei passaggi.
Ritroviamo lo Zaccaria di Riccardo Zanellato, la voce ha acquisito maggior corpo e gravitas, inoltre la rotondità del canto e il controllo dell’emissione contribuiscono a un’interpretazione sentita e sfumata del personaggio in cui l’aspetto mistico e quello più combattivo convivono. Gradevole la Fenena di Anna Malavasi. Dell’Ismaele di Paolo Antognetti si apprezza il garbo di porgere il canto e la voce di timbro chiaro.Tonante e possente il Gran Sacerdote di Luciano Leoni. Fra i comprimari ricordiamo Elena Borin (Anna) e Stefano Consolini (Abdallo).
La direzione di Renato Palumbo, alle prese con una partitura simbolo del Risorgimento, privilegia impeto e slancio, la vicenda scorre in modo incalzante ma le sonorità, talvolta eccessive, rendono la lettura sommaria e poco attenta a introspezione e sfumature. Di buon livello la prova dell’orchestra, eccellente quella del coro diretto da Lorenzo Fratini, che trionfa (ma non solo) in un Va pensiero lentissimo e sfumato, che si spegne come un sospiro.
Un teatro completamente esaurito ha decretato pieno successo alla produzione.