Lirica
NABUCCO

Verona, Arena, “Nabucco” di G…

Verona, Arena, “Nabucco” di G…
Verona, Arena, “Nabucco” di Giuseppe Verdi NABUCCO IN GABBIA La Fondazione Arena di Verona riprende l'interessante spettacolo che ha inaugurato il Festival lo scorso anno. Denis Krief (regista, scenografo, costumista e disegnatore luci) ci ha abituato a spettacoli asciugati, ridotti all'essenziale, scarnificati, un minimalismo delle forme pensato per far risaltare i significati delle partiture e le idee sottese ai libretti (o le interpretazioni registiche). Negli spazi dell'anfiteatro ha inserito tre grandi gabbie, moduli spigolati bianchi, una sorta di nave incagliata nella sabbia della storia e della memoria, piena di libri: lo spazio della sapienza ebraica. Di fianco un elemento color oro, tondeggiate e contorto, labirintico, una torre di Babele che contiene altri muri curvilinei: il potere soverchiante mesopotamico, dominazione politica anzichè culturale (la forma richiama infatti quella della corona di Nabucodonosor). Due i piani del pavimento, su quello orizzontale si muovono gli ebrei, su quello inclinato i babilonesi che camminano con una specie di passo dell'oca, efficacissimo. Due mondi si confrontano e si scontrano: quello ampio, geometrico e pieno di libri della cultura degli ebrei e quello tortuoso, aggrovigliato su se stesso, del potere politico dei babilonesi. Quando il re distrugge il tempio di Gerusalemme, alza la spada e i libri degli ebrei crollano a terra con un sonoro tonfo. E nel momento del fulmine divino la corona cade a terra e una lama di luce rosso sangue taglia il palcoscenico. Le tre gabbie, viste in sequenza, rimandano a una nave, un relitto pronto a partire per la diaspora e che richiama alla mente ben altre vicende: i nostri emigranti nel secolo scorso, gli immigrati odierni verso le nostre coste. E lì dentro gli ebrei si abbandonano al “Va' pensiero” (faticosa e lunga la sistemazione del coro), come da una nave in partenza, un'arca di Noè dei giorni nostri. La regia sottolinea con gesti immediati gli snodi del testo e le dinamiche psicologiche nelle relazioni tra i personaggi. Da sottolineare le splendide luci che virano dall'arancione al verde, dal bianco al grigio, tingendo le “sculture” metalliche di sempre nuove tonalità e rinnovando sempre uno spazio invece fisso. Leo Nucci è il protagonista assoluto dello spettacolo, un grande ed intenso Nabucodonosor che entra in scena a cavallo. La voce non ha incrinature ed il colore è bellissimo, con nuance che gli consentono una grande espressività. Il baritono punta a fornire una prova totale nell'abbinare vocalità ed attorialità pur nei gesti misurati, creando un personaggio che rivela un tormento interiore che anticipa altri grandi ruoli verdiani e che a me ha richiamato alla memoria eroi shakespeariani e pirandelliani, da Re Lear a Enrico IV. Maria Guleghina è una erinnica Abigaille, con le braccia in alto e l'incedere furente e tumultuoso, una fisicità quasi mascolina che si scontra con la fiorente, morbida femminilità della Fenena di Rossana Rinaldi. Vocalmente la Guleghina delude, perchè a un centro rotondo e corposo e a un grave sonoro si accompagna un registro acuto gridato più che cantato. E questo è un ruolo per il quale servono tre voci, una non è sufficiente. Valter Borin a volte fatica nel ruolo di Ismaele, Paata Burchuladze è Zaccaria profondo ma con voce oscillante, adeguata Patrizia Cigni (Anna); con loro Carlo Striuli (Gran Sacerdote) e Angelo Casertano (Abdallo). Daniel Oren dirige con padronanza e giusti tempi l'Orchestra dell'Arena e riesce a controllare ottimamente le notevoli masse; il coro preparato da Marco Faelli e chiamato a una prova impegnativa risponde egregiamente, soprattutto nell'atteso “Va' pensiero” (non bissato), affrontato con uno struggente, disperato sottovoce. Pochi i posti vuoti, troppi i flash dalle gradinate durante la recita. Molti applausi, sia durante che alla fine, qualche fischio per la Guleghina. Visto a Verona, Arena, il 03 luglio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Arena di Verona (VR)