Napoli Milionaria di Nino Rota ha inaugurato il 36° Festival della Valle d’Itria e la nuova direzione artistica di Alberto Triola. Nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca è andata in scena, per la seconda volta da quando è stata composta, l’opera tratta dalla famosa commedia di Eduardo De Filippo, che lo stesso De Filippo trasferì anche sul grande schermo nel 1950. Rispetto alla più conosciuta commedia, l’opera di Rota presenta delle differenze sostanziali. Quella che era una commedia ricca di speranza, all’indomani della fine della guerra, sebbene raccontasse una storia tragica, diventa, nella trasposizione operistica, una tragedia a tutti gli effetti; le speranze hanno lasciato il posto a un disperato pessimismo: i nemici da combattere non sono più gli invasori e gli orrori della guerra ma nemici interni quali il disordine, la violenza, la corruzione. Altri elementi connotano l’opera nel segno del pessimismo: è introdotto il personaggio del soldato di cui s’innamora Maria Rosaria, che nella commedia non compare. Ancora, nella commedia Amalia e Settebellizze non cedono all’attrazione reciproca, nell’opera invece diventano amanti, creando una disgregazione che diventa disperazione. Il sentimento predominante è quello di subire fatalisticamente un degrado di valori, aggrediti ferocemente da una guerra atroce e contaminante, ma anche dal crollo della dignità umana.
Sul piano strettamente musicale Rota compose una grande partitura molto articolata, che non piacque alla critica, quando l’autore la rappresentò al Festival di Spoleto nel 1977, tanto che non fu più rappresentata. Ma a trent’anni dalla morte dell’autore non si può fare a meno di emozionarsi e di applaudire di fronte ad un bellissimo esempio di abilità compositiva, di orchestrazione e di una sensibilità poetica perfettamente in equilibrio con il genio drammaturgico di De Filippo.
Ripescare quest’opera è stata un’oculata operazione del nuovo direttore artistico del Festival di Martina Franca, Alberto Triola, che ha saputo coglierne le potenzialità espressive, ancora attualissime, sul piano musicale e drammaturgico. Napoli milionaria, nel raccontare le vicende di una famiglia che, speculando sull’altrui miseria nella Napoli del secondo dopoguerra, precipita verso un inesorabile decadimento dei valori, si fa subito metafora senza tempo degli orrori della guerra, materiali e soprattutto morali. Di quest’opera, dalla forte impronta verista, colpisce innanzitutto l’arduo lavoro compiuto da Rota nel mettere in musica un testo certamente non concepito in origine per tale scopo. L’ha fatto con disinvoltura e felicità d’invenzione tematica e con una scrittura capace di esaltare al meglio le potenzialità espressive delle voci. In questo lavoro compaiono anche diverse tracce del suo passato musicale attraverso il recupero di nuclei tematici ripresi dalla colonna sonora da lui composta per l’omonimo film, così come da quelle di altre pellicole, che appaiono come espressione della volontà del compositore di valorizzare temi ben riusciti in un contesto che, diversamente dal cinema, impone meno vincoli all’autore. Ovviamente si tratta di temi che riescono con indiscussa efficacia a sintetizzare una certa atmosfera, epoca o ambientazione, in perfetta coerenza col libretto.
La ripresa di Martina è firmata da uno degli interpreti più brillanti della nuova scena partenopea, il regista Arturo Cirillo, peraltro all’esordio in un lavoro di De Filippo. Rimane il forte impianto teatrale dell’opera, che il regista ha saputo efficacemente rendere, grazie anche alle scene di Dario Gessati. L’impianto scenografico è dato da una sola stanza, in cui avvengono gli episodi dei tre atti, la casa di Don Gennarino, una scatola che tende a soffocare gli abitanti in cerca di quella felicità che mai arriva. Il regista ha colto – con gusto e in sincronia con i tempi e i gesti musicali – le atmosfere della miseria fisica e morale di Napoli ai tempi della guerra. Cirillo ha calcato apposta la mano sugli eccessi, senza vergognarsi di porre l’accento al lato kitsch della commistione tra sacro e profano.
In campo vocale, la veemenza e la passionalità dei personaggi tratteggiati si sono tradotte in uno spartito vocalmente molto impegnativo. Tra i ruoli più ardui senza dubbio spicca quello di donna Amalia, moglie del disoccupato Gennaro Jovine, dedita alla borsa nera, ricoperto da Tiziana Fabbricini. La cantante, nota al pubblico per le “sue” Violette, si è confermata artista di estrema sensibilità interpretativa, dando vita ad una recitazione molto efficace sul piano scenico. Una certa perdita di smalto in una voce dal timbro da sempre atipico è stata in qualche misura compensata dalla passionalità di un’interpretazione che ha raggiunto il suo clou nella straziante scena finale della morte del figlio. Buona la prestazione scenica e vocale di Alfonso Antoniozzi nel ruolo di Don Gennarino Jovine, ruolo che prevede una notevole teatralità. Il giovane tenore Leonardo Caimi ha dato vita ad un convincente Errico ‘Settebellizze’: bel timbro ed eleganza del fraseggio. Tra le voci che si sono segnalate nella serata meritano particolare menzione Valentina Corradetti nel ruolo di Maria Rosaria e Chiara Amarù, entrambe belle voci, limpide, brillanti, con acuti puliti, accompagnate da una bella presenza scenica.
Ricordiamo anche il resto del lungo cast, che complessivamente ha dato una prova buona rendendo vocalmente e visivamente giustizia ai personaggi del dramma: il baritono Marcello Rosiello, in un impeccabile brigadiere Ciappa; il baritono Domenico Colaianni (‘O Miezo Prevete); i mezzosoprani Anna Malavasi (Adelaide Schiano) e Romina Boscolo (Donna Peppenella); il baritono Borja Quiza (il sergente Johnny); il tenore Dario Di Vietri (Amedeo); il basso Carmine Monaco (Peppe o’ Cricco); il basso Luigi De Donato (Riccardo Spasiano); il tenore Alessandro Scotto Di Luzio (Pascalino ‘o Pittore); il soprano Giuseppina Chirizzi (Donna Vincenza).
Un meritato plauso va al maestro Giuseppe Grazioli alla guida dell’Orchestra Internazionale d’Italia che, forte della sua ricca esperienza nel campo della musica novecentesca, ha regalato al pubblico una brillante ed energica lettura dello stile di Rota. Il Coro Slovacco di Bratislava, presente da sempre al Festival, diretto dal maestro Pavol Prochazka, ha dato una prova positiva, anche se forse il dialetto napoletano non gli è molto congeniale.
Il Palazzo Ducale di Martina Franca era esaurito per entrambe le serate, con un pubblico internazionale che ha manifestamente gradito la rappresentazione.