Torna sul palco del Teatro Dell’Angelo di Roma la compagnia di Antonello Avallone con una seconda rilettura di un capolavoro di Luigi Magni: dopo l’esperimento magnificamente riuscito di “In nome del Papa Re” della scorsa stagione teatrale, vediamo ora Avallone nei panni di Cornacchia, ancora accompagnato da Sergio Fiorentini nel ruolo del Colonnello Nardoni, insieme ad un ricco cast in “Nell’anno del Signore”, ispirato al film del 1969. Il racconto dell’esecuzione capitale di due carbonari nella Roma papalina, basato su un fatto realmente accaduto, si mescola a una storia di fantasia che riguarda le vicende del calzolaio Cornacchia, da tutti ritenuto analfabeta, che si rivela invece essere Pasquino, autore di quelle satire anonime in cui si esprimeva da anni il malcontento del popolo romano.
I numerosi personaggi dello spettacolo aprono la scena intonando una marcetta dedicata alla libertà che immediatamente ci mostra gli animi coraggiosi, rivoluzionari e talvolta incoscienti dei giovani carbonari protagonisti di cospirazioni ai danni del potere. Ma quest’introduzione all’apparenza trionfante lascia il posto, per tutto il resto della messa in scena, ad un’atmosfera cupa, fatta di penombra e musiche inquiete. La regia fa muovere gli attori su un palco “allungato” sfruttando anche la platea e i corridoi tra il pubblico, per rappresentare la loro fuga continua, il loro cercare un nascondiglio, il tramare nell’ombra. In scena non vediamo scenografia che alluda alle varie ambientazioni ma solo delle pedane rialzate che indicano i diversi livelli di rappresentazione.
Il ciabattino Cornacchia, armato della sua semplicità e della sua povertà, forse più sveglio e furbo dei giovani e spavaldi cospiratori, combatte la sua battaglia senza farlo sapere, sempre pronto ad aiutare i giacobini come può. Proprio al suo personaggio, caratterizzato da grande generosità e sensibilità, spettano le battute più divertenti che spezzano la tensione dei momenti drammatici regalando al pubblico qualche risata. I dialoghi spesso seri non rischiano, così, di annoiare e si mescola sapientemente la suspense ad una semplice e divertente comicità romana. E Cornacchia, con i suoi sentimenti più dolci e sinceri, si svela in particolare in una canzone interpretata in solitudine nel secondo atto, quando viene abbandonato dalla sua amante.
Giuditta, l’unico personaggio femminile, contesa da tre uomini, ci conquista per la sua passionalità; a lei viene affidata una riflessione su Paolina Borghese mentre la ascolta suonare il pianoforte e la immagina invecchiata e decaduta, per allargare poi la considerazione alla caducità delle cose che riempie di paura questa donna apparentemente tanto coraggiosa.
Ci commuove, ancora, un personaggio come quello del frate che fa di tutto perché i due condannati a morte si pentano e possano andare in Paradiso.
Una ghigliottina dall’aspetto imponente ed impressionante viene, quindi, montata sulla scena proprio davanti ai nostri occhi e gli unici sentimenti ai quali non viene lasciato spazio sono proprio quelli di Leonida Montanari e Angelo Targhini, condannati alla ghigliottina e mossi unicamente dai loro ideali, fino alla fine.