NEMICO DI CLASSE

Tanto rumore per nulla

Tanto rumore per nulla
Nemico di Classe è un testo del 1978 di Nigel Williams che ebbe subito un rilievo internazionale (Peter Stein ne fece anche una versione cinematografica nel 1983) perchè metteva in mostra il totale abbandono in cui la scuola, gli adulti, i professori e lo Stato, tenevano alcuni studenti, più bulli che teppisti, e la vuotezza, il pressappochismo e il qualunquismo dei suoi giovani protagonisti, incapaci di ascoltare e caratterizzati da un conformismo soffocante anche se di natura opposta a quello dei loro genitori. Un testo che non brillava per il suo acume psicologico (il cui impianto si limitava al compitino borghese di uno studente al primo anno di psicologia freudiana) ma che, in un periodo in cui il teatro aveva una ragione politica d'essere (dove politico significa interazione tra cittadini) ebbe un successo internazionale, anche in Italia, messo in scena da Elio De Capitani, nel 1983, quando ancora certi temi nel nostro paese non erano stati trattati, almeno non a teatro. Nemico di Classe è un testo rischiosissimo da mettere in scena oggi, perchè quel modo disinvolto di descrivere i sei studenti bulli, dove la cifra giovanilistica sembra essere tutta nel turpiloquio e nella violenza, oggi appare in tutti i suoi triti cliché. Massimo Chiesa, che ha messo su The Kitchen Company con una trentina di attori e attrici tutti freschi di Accademia, aveva due strade da seguire: o contestualizzare storicamente il testo originale, cercando di sottolinearne lo scarto sociologico, culturale e psicologico oppure rendere contemporaneo il contesto della commedia. Capitani sceglie questa seconda strada ma, per rispettare il testo, non può che aggiornare soprannomi e riferimenti: fa aprire e chiudere lo spettacolo da due brani di Vasco Rossi, aggiorna l'etnia considerata "straniera" (nel testo originale gli Indiani qui i Rumeni, un meridionale in quella di Capitani dell'83), cambia i riferimenti culturali (Oxord diventa la Normale di Pisa) e fa scrivere sui muri dell'aula, pieni di graffiti (una scenografia imponete ma soffocante) "Berlusconi e Noemi", che più che alla contemporaneità appartengono all'hic et nunc del pettegolezzo. Capitani cerca di trasformare i teppisti di Williams nei bulli che popolano le nostre scuole di oggi come spiega nelle note di regia sono i ragazzi di Nettuno che per noia decidono di dare fuoco ad un immigrato indiano, sono anche quei ragazzi che violentano una ragazza nei bagni la notte di capodanno, sono quei ragazzi che torturano un ragazzo down e riprendono tutto con il telefonino, sono quei ragazzi che bevono e si strafanno durante i sabato notte. Al contrario i ragazzi di Williams sono la cosa più lontana che possa esserci dai "ragazzi di Nettuno". Per Williams il primo disagio dei suoi protagonisti è la famiglia, separata, con problemi di alcolismo, di danaro (uno dei ragazzi si dispera per non aver avuto da piccolo, dalla madre vedova, un paio di pantaloni lunghi). Sono sempre e solo storie personali a render conto della loro violenza, della loro rabbia contro il mondo, nessuna lotta di classe, nessuna denuncia delle responsabilità della società. Per Williams i suoi protagonisti sono monadi isolate cui la società ha la sola colpa di essersi arresa, mentre, allora come ora, la società ha la grande responsabilità di costituire un modello comportamentale per i giovani, ed è il vero alveo dove si coltivano i disvalori di violenza e sopraffazione che per Williams sembrano essere solo dei ragazzi. Il coté sociale è poi molto diverso. I bulli di oggi non sono poveri e ignoranti ma provengono da famiglie benestanti, indossano tutti capi firmati e hanno cellulari all'ultima moda, il denaro, lungi dall'essere una mancanza, è forse l'unico collante in famiglie altrimenti vuote e assenti. Non si può certo dare a Chiesa la colpa di questo scarto che sta tutto nel testo, che già nel 1978 era molto debole nel cercare l'origine di certi comportamenti (e forse nemmeno ne era interessato) ma quella di aver visto in questo testo la possibilità di parlare dell'oggi sì. Il testo non diverte come vorrebbe il regista, per colpire poi con la sua denuncia sociale, non scandalizza (tranne il pubblico domenicale di abbonati di una certa età che rumoreggia per il continuo turpiloquio) e, soprattutto, non fa pensare, non insinua dubbi, si limita a confermare tutti i cliché che gli adulti possono avere sui giovani (per ammissione stessa di due degli attori che, intervistati da Francesca Ragno su Roma Today affermano: Questa messa in scena è adattissima per le scuole (...) in quanto rappresentiamo alcuni cliché del mondo giovanile). Quel che più manca al testo è proprio una sua urgenza drammaturgica. L'azione si svolge tutta nella classe dove i sei bulli aspettano un professore che non arriva mai (e molti recensori scomodano inopinatamente Godot, confondendo quell'attesa, metafisica, con quella concreta di un gruppo di ragazzi che pur essendo qualunquisticamente contro, si lamentano comunque di una scuola che non riesce a dar loro un professore adeguato...). I sei ragazzi decidono allora di fare lezione da soli ma Williams fa affrontare loro argomenti che non servono a denunciare i disvalori collettivi della società (anzi il pistolotto finale del professore che con loro rinuncia è paternalistico e ipocrita, ma cosa rinunci!? Fai il tuo lavoro!) ma solamente a far emergere il vissuto personale, unica causa dei loro problemi. I ragazzi affrontano argomenti futili (fiori), prevedibili (sesso) in un modo totalmente privo di spessore diventando simboli astratti di un disagio che si pretende concreto. In questo Williams è davvero privo di fantasia: chi parla di sesso disegna fallo e vagina sulla lavagna, chi parla dei fiori lo fa perchè riporta un problema paterno riguardante una fioriera e dei gatti, chi parla dei neri (che qui diventano rumeni) è per attribuire loro la causa di tutti i problemi (senza approfondire le origini storiche del razzismo), chi fa una lezione di cucina (grottesca nella versione di Chiesa, a differenza di quella di Williams molto più plausibile) è per dire che la carne e troppo cara ed sostituita dallo sfornato di carciofi... Cosa dice questo testo? Cosa ci racconta? Che cosa ci mostra dei bulli che già non sappiamo? I sei protagonisti urlano, si azzuffano, alludono in continuazione al membro maschile, ma sono innocui, finti, falsi, fasulli, più vicini ai Liceali di Virzì che ai veri studenti problematici cui fa riferimento il regista nelle note. La novità del testo sta tutta nella scelta estetizzante di mostrare dei personaggi la cui forza risiede solamente nella loro violenza. Di nuovo le responsabilità sono dell'autore, non del regista. Dove invece Chiesa poteva intervenire è nella recitazione dei suoi attori, nell'energia con cui sono in scena. E qui qualcosa non ha funzionato. L'incipit con la canzone di Blasco (retorico e non abbastanza contemporaneo non quanto "Noemi e Berlusconi" almeno) con i ragazzi già in scena, crea una pausa che rovina l'effetto sorpresa e rende difficile far cominciare la pièce, le cui prime battute sono incerte, stentate, con molte pause, e i ragazzi sembrano muoversi senza sapere bene cosa fare, troppo presi a interpretare i propri personaggi per interagire. Un inizio infelice a causa del quale lo spettacolo non decolla mai veramente nonostante ognuno dei sei attori abbia qua e là più di un guizzo interpretativo. Quello che spicca a uno sguardo superficiale sono le parolacce e la confusione. Un vero peccato perchè gli attori sono bravi (anche se giovanissimi e non tutti allo stesso livello) svantaggiati da un teatro che ha una pessima acustica (non sappiamo dire se a causa proprio dall'edificio o della scenografia) e da un testo della cui messa in scena non si sentiva proprio la mancanza.
Visto il 16-02-2010
al Italia di Roma (RM)