Mai come nel caso della rappresentazione “Nerone, duemila anni di calunnie” si potrebbe dire che, nonostante sia incentrata sulla figura di un personaggio di un passato assai lontano, risulti estremamente attuale. I protagonisti dello spettacolo si chiamano Nerone, Agrippina, Seneca, Poppea ecc… ma potrebbero chiamarsi Renzi, Grasso, Berlusconi, Agnelli, Andreotti oppure Obama, Merkel, Hollande: solo per buttare un elenco di nomi lì, a casaccio, che corrispondono a persone reali estremamente diverse tra di loro ma probabilmente tutte accomunate dall’aver vissuto un insieme di cose che caratterizzano da sempre, inesorabilmente, la politica ed il potere. Non a caso, gli abiti indossati sul palco sono contemporanei e si distanziano dalle mode dell’Antica Roma: giacche e cravatte gli uomini, lunghi abiti da sera le donne.
Traendo ispirazione dall’interessante rilettura storiografica di Massimo Fini, la sceneggiatura di Angelo Crespi propone un’innovativa narrazione di come andarono realmente i fatti all’epoca dell’impero di Nerone (Claudio Cesare Augusto Germanico), svelando inedite prospettive sui colpevoli della morte della madre e della moglie di costui nonché dell’incendio di Roma. Ciò che emerge, però, al di là del fascino di questo uomo tormentato ed insoddisfatto – molto sentita e coinvolgente l’interpretazione di Edoardo Sylos Labini -, combattuto tra il desiderio di essere grande ed essere riconosciuto tale tanto dal popolo quanto dai potenti al suo fianco e quello di vivere, invece, in santa pace la sua passione per le arti, è la visione di ogni uomo politico come vittima di continui condizionamenti e del giogo della corruzione. Indipendentemente dalla forza e dalla volontà che avrà di opporsi a tutto questo, ciò che rimarrà non saranno tanto le opere, le riforme, la pace e la ricchezza portate al proprio impero (o nazione, se si vuole trasportare tutto nei tempi attuali) quanto le “voci”, le calunnie, il pettegolezzo e il giudizio moralista sui vizi personali, che infangano tutto il resto. Come recita Poppea – interpretata da una seducente Dajana Roncione - “la cattiva fama ti si appiccica addosso”.
L’autore sembra voler osservare con amarezza che il “gossip” per la gente ha sempre avuto più importanza dei fatti oggettivi. Lo stesso Nerone finisce per pronunciare frasi di sfiducia nei confronti del popolo, nella sua “recita”, una delle scene più forti dello spettacolo. Ma il dramma rappresentato, pur lasciando trapelare un rimprovero, vuol essere, forse, a suo modo anche un’esortazione al risveglio delle coscienze.