Alzare l'antenna e captare tra un vulcano di parole, ricevere segnali e mettere a punto il recettore. Avere in mente che l'importante è il pensiero, tenersi pronti con le frequenze. Alessandro Bergonzoni poliedrico scrittore (si legga scritturato) filosofo attore regista pittore scultore non te la racconta mai intera, ci gira intorno e lascia gustare l'attimo dell'attesa. Un fiume di parole in libero scorrimento dove la cifra stilistica è il surreale. Verbi, aggettivi, sostantivi che assumono significati variabili. Participi presenti accostati a participi passati che diventano aggettivi, sostantivi, che tornano participi. Credenti e non creduti, osservanti, vedenti e non veduti, curati e preti curati. Giochi di parole integralmente spassosi che nascondono e svelano i nessi che li legano tra loro e all'universo. Lingua indagata e restituita bambina alle orecchie di chi ascolta stupefatto, percorsi irti e colti ma percorribili da tutti in cui il vocabolo è mezzo, universo comico da scandagliare. L'artista si innalza e ritorna giù stringendo in mano scoperte all'uomo negate.
Lo avevamo lasciato con “Urge”, spettacolo con il quale il bolognese si era ripromesso di «fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l’incubo è confonderli). Come giaguaro che diventa uno degli animali più lenti se in ascensore e come lumaca che diventa uno dei più veloci se in aereo». Recuperiamo il filo o meglio i fili con "Nessi", spettacolo numero quattordici scritto a quattro mani con Riccardo Ridolfi. Una pièce che per ammissione del suo stesso protagonista non è una pièce ma un'invocazione. Fili spinati e fili non ancora o non più connessi. Una riflessione sull’inter nos più che sull’Internet.
Alessandro Bergonzoni, insegnante di sana e lucidissima follia in tour lungo la Penisola fa tappa al Teatro dell'Elfo. Una scenografia prematura costruita a banchi di nebbia e incubatrici in cui sporcarsi le mani, tre entità in incubazione a prendere forma: condizione neonatale, prematurità, prepaternità. Le mani che sfogliano mappe concettuali, abolizione di ogni nesso spazio-temporale. Un circo esistenziale di esseri umani (e non) connessi senza precauzioni nella riflessione sulla vita e sulla morte al capezzale di una bara (si legga culla che non dondola). Riflessioni in immersione nel mare di una leggerezza che in qualche modo sembra assecondare la “sottrazione di peso” teorizzata dalla prima delle “Lezioni americane” calviniane.
Un'ora e quarantacinque di esortazione a costruire nessi, legami, atti con chiunque e senza prevenzione, a fare tutti la parte di tutti perché noi siamo fili adottivi che devono imparare a conoscersi nonostante le diversità. Un talento esplosivo al servizio di una comicità anarchica e pura che il numeroso pubblico della sala Shakespeare premia con generosi applausi.