Le leggi, il potere, l’utile, il giusto si confondono nel microcosmo di una famiglia, cellula simbolica di una società che, insieme alle ideologie, sembra aver perso il senso del vivere civile.
Chiunque abbia giocato a basket sa quanto sia importante creare una chimica di squadra in grado di esaltare le personalità più spiccate all’interno di un sistema armonico, nel rispetto dei ruoli e delle regole. Di regole, di libertà individuale, di bene collettivo, e ovviamente di basket, parla lo spettacolo Nessuna pietà per l’arbitro, messo in scena dal Centro Teatrale MaMiMò, presentando in chiave metaforica temi complessi, che spesso diamo per scontati, ma che toccano princìpi e valori fondamentali per qualunque comunità.
Le leggi, il potere, l’utile, il giusto si confondono nel microcosmo di una famiglia, cellula simbolica di una società che, insieme alle ideologie, sembra aver perso il senso del vivere civile.
Una famiglia e un arbitro
Storico e ricercatore universitario, per mille euro al mese, Giuseppe sta per diventare padre. La moglie, d’altro canto, è consapevole che il suo stato diventerà un pretesto per il licenziamento da parte del datore di lavoro. La donna ha già un figlio, ventenne, nato da una precedente relazione, dal carattere collerico e rissoso, che cerca con fatica un’occupazione. In questo quadro familiare pericolosamente vicino alla disgregazione, esiste però un solido legame: la comune passione per il basket. Giuseppe e il ragazzo giocano insieme in una squadra di un campionato minore; e proprio da un incidente sul campo da gioco, un fallo non fischiato dall’arbitro che procura al giovane la frattura di un braccio, si scatena una vicenda dall’esito drammatico.
Il meccanismo teatrale mette in scena attraverso un abile gioco di contrasti le diverse visioni etiche dei tre personaggi: Giuseppe, che sta preparando, fra mille incertezze, un discorso per l’anniversario del 2 giugno, si schiera dalla parte delle leggi, convinto della loro necessità per realizzare un mondo migliore; la donna abbraccia il concetto dell’utile, non del giusto, quando si trova ad affrontare una scelta difficile e dolorosa; il figlio pensa invece che le leggi siano solo uno strumento di repressione delle libertà individuali. L’arbitro, rappresentante di un potere un po’ ottuso, ma a modo suo idealistico, diventerà la vittima di un crescendo esplosivo di tensione.
Fra compromesso e anarchia
Il ritmico rimbalzo dei palloni da basket sulle tavole del palcoscenico scandisce l’andamento della vicenda. La dicotomia fra bene comune e individualismo, fra compromesso sociale garantito dalle leggi e anarchia, si realizza scenicamente attraverso rimandi storici (su Giuseppe pesa l’eredità di un nonno illustre partigiano) e richiami alla validità stessa dei princìpi costituzionali.
Lo spettacolo si snoda fra flashback, richiami al dorato mondo della pallacanestro Nba e momenti di rottura scenica, senza che si perda mai il filo del discorso. Un canestro disegnato sul fondale incombe sui personaggi: ma nessuno di loro, alla fine, può dire davvero di essere riuscito a segnare i punti decisivi.
Un interrogativo finale
Ottima la prova d’attore dei protagonisti: in Nessuna pietà per l’arbitro la tensione drammatica si allenta ogni tanto attraverso piccoli squarci di umorismo e di leggerezza, toni in cui la recitazione dei personaggi gioca con abilità e mestiere.
L’inquietante finale sollecita l’interrogativo su quanto sia davvero necessario un arbitro che rispetti e incarni regole imprescindibili: in un campo da basket, certo, ma soprattutto all’interno di una società capace di aprirsi a un futuro dove libertà e regole garantiscano un’idea e una visione condivisibili del mondo.