La regia di Binasco emerge raffinatissima, nonostante sia giocata su un dettagliato minimalismo. Nicola Pannelli, Sergio Romano e Arianna Scommegna, impossibile dire chi dei tre sia il più bravo ed in quale delle rispettive interpretazioni, tale è il livello di immedesimazione e di omogeneità visto sul palcoscenico.
È un bar il luogo scelto da Valerio Binasco per ambientare quattro atti unici di Harold Pinter, che abbracciano un arco temporale di oltre 40 anni e che vengono racchiusi in Night Bar, spettacolo coprodotto dal Teatro Metastasio di Prato e dal Teatro Nazionale di Genova. Si va infatti dal Calapranzi del 1957 a Tess del 2000, passando per L’ultimo ad andarsene (1959) e Night (1969).
Incomunicabilità tra il grottesco e il surreale
Tra tutti questi, l’unico ad avere una sua autonomia è il Calapranzi, uno dei testi, che all’epoca consacrò Pinter tra gli autori di riferimento della drammaturgia inglese ed internazionale e l’unico che potrebbe essere rappresentato da solo. La storia dei due sicari in attesa di un Godot, che però nello spiazzante finale questa volta si materializzerà, è ancora estremamente attuale sia nelle tematiche che nella scrittura, e non è un azzardo vedere in Ben e Gus gli ispiratori di svariate coppie di villain del teatro e del cinema degli anni successivi, non ultimi gli icastici Vincent Vega e Julius Winnfield di Pulp Fiction.
Dal grottesco dialogo del Calapranzi si passa all’istrionico monologo di Tess, in cui la protagonista, costretta a fare i conti con la propria solitudine e con il conflittuale rapporto con la madre “cortigiana d’alto bordo”, rievoca la sua infanzia infelice sulla quale aleggia anche l’ombra di un abuso. Ne L’ultimo ad andarsene, forse l’atto più surreale e quello in cui più di tutti emerge il tema dell’incomunicabilità, un venditore di giornali ripete sempre le stesse frasi, come un disco rotto, mentre in Night, una coppia rievoca il primo appuntamento, ma i ricordi dell’uomo non coincidono con quelli della donna, eppure i due continuano a parlarsi come se niente fosse.
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Regia raffinata e grandi interpreti
Il bar diventa quindi una sorta di contenitore, un non luogo in cui, senza apparente continuità di tempo, si susseguono questi dialoghi. Anzi, paradossalmente il fatto che il Calapranzi sia ambientato in un posto abbandonato, ormai in disuso, rivestito di cellophane, che verrà poi tirato a lucido per le storie successive, fa pensare ad una sorta di cortocircuito temporale, quasi che la prima vicenda cui assistiamo sia in realtà l’ultima in ordine cronologico.
La regia di Binasco emerge raffinatissima, nonostante sia giocata su un dettagliato minimalismo. Ognuna delle pause con cui Pinter costella i suoi testi è gestita con grande sapienza e nei lunghi silenzi mai si percepisce la sensazione di vuoto nella costruzione. Un allestimento perfetto sotto ogni aspetto ed il merito è da scrivere anche alla magistrale interpretazione dei tre attori che rivestono i vari ruoli ovvero Nicola Pannelli, Sergio Romano e Arianna Scommegna. Impossibile dire chi dei tre sia il più bravo ed in quale delle rispettive interpretazioni, tale è il livello di immedesimazione e di omogeneità visto sul palcoscenico. Una grande lezione di teatro per uno spettacolo che, nonostante la difficoltà e la frammentarietà dei testi resta scolpito nella mente e da cui, una volta usciti da teatro, risulta difficile staccarsi.