Meglio un lento diesel che una deflagrazione caotica e distruttiva, talvolta. Cut.
Meglio di un film di Woody Allen o di un romanzo di Paul Auster. Meglio anche della celebre omonima canzone di Liza Minnelli, omaggio a Nuova York? Cut, cut, cut.
Il “Niuiorc niuiorc” di Francesco Foti ha sicuramente un pregio, tra i tanti riscontrabili: fa ridere di gusto. Inizia gradualmente, con passo felino, quasi volesse studiarne l’effetto sul pubblico, per capire se può osare o no e poi insinuarsi in modo calmo ma deciso nella mente, e nella curiosità dello spettatore. C’è magari chi si aspetta un racconto alla Sex and the City, chi una storia romantica come quella di “Innamorarsi” o qualcosa di glamour come “Il diavolo veste Prada”. Niente di tutto questo. O forse tutto, ma in un vivace mix che non occhieggia a nessuna pellicola particolare. È certamente uno spettacolo che vorrebbe essere un film - tanti i “cut” che si ripetono, per passare da una scena all’altra, come si fa con il montaggio cinematografico - che mostra una città che vorrebbe essere cosmopolita e che in parte lo è. Che accoglie un quarantenne che vorrebbe essere un ventiquattrenne. Un attore di belle speranze che si avventura per la prima volta, da solo, al di là del mare catanese, approdando sul suolo newyorkese carico di quell’entusiasmo disincantato, quasi puro, tipico di chi ha la metà dei suoi anni, con la scusa di migliorare il proprio inglese. Uno spettacolo che racconta di un viaggio che vorrebbe essere un sogno si, e lo è per molti, ma che ti costringe a fare i conti con la realtà, con quella di una metropoli tanto vasta e contradditoria, e con quella che ti sei lasciato alle spalle. Le radici, la terra d’origine che quando si tratta della Sicilia sembra richiamarti nostalgica, non prima però di averti fatto esplorare il brivido (e la potenziale delusione) che un grande abbaglio può darti.
E allora ecco che Zabar diventa il luogo d’elezione, dove fare la fila per un frappuccino piccolo ma in realtà gigante, dove incontrare Magò, una silenziosa quanto variopinta habitué del locale apparentemente muta, dove intrattenersi con la Perla Nera, la candida scenografa di nome e di fatto, lesbica e vabbè… ma così affascinante nella sua esplosiva femminilità. Central Park con le sue panchine, il sindaco che parla ai passerotti... tanti personaggi, tante persone che come vermi attraversano la Grande Mela, la città che non dorme mai ma che molti vivranno solo nella fantasia. Con allegria e umorismo Foti ricostruisce la tragicomica avventura sul suolo americano con leggerezza e usando poche cose: uno sgabello, un quaderno, una bella dose di ironia, oggi in dotazione a pochi, artisti compresi. Non si atteggia, è naturalmente simpatico. Sembra non recitare una parte, ma raccontare alla zia un po’ sorda dettagli del suo viaggio nel Nuovo Mondo, scoprendolo simile al Vecchio. Pare sforzarsi di farti ridere, e poi ci riesce a colpi di battute esilaranti e aneddoti paradossali, ma mica tanto: anche solo il confronto acceso con il pizzaiolo calabrese a (very) Little Italy merita la visione. “Everybody have to eat”. Anche la mela, anche quella Grande. Tra una risata e l’altra.