Prosa
NO

La musica, forse...

La musica, forse...

C'è qualcosa di profondamente irrisolto nell'ambizioso progetto di Claudia della Seta di coniugare il teatro di parola con la musica producendo e interpretando No il testo di Denis Baronnet e Sara Clifford, del network internazionale The Fence.

No è una pièce punk bilingue, in inglese e in francese, parzialmente tradotta in italiano per il suo debutto internazionale romano (dopo una prima lettura per frammenti nell’aprile 2012 durante la
permanenza di Afrodita compagnia al Teatro Valle occupato di Roma, e un reading nella versione integrale al Soho Theatre di Londra nel luglio 2102) che racconta delle vicissitudini di Rachel, una ex cantante punk che per campare riporta a posto i carrelli di un supermercato, la quale, scoperto che una  sua canzone del 1977 è oggi (2012) usata per una pubblicità senza che le siano state pagate le royalties, si reca in Francia per farsi riconoscere la maternità del brano accompagnata dal fantasma di Sid Vicious che le è comparso durante un suo tentativo di suicido il giorno del suo cinquantesimo compleanno...

Mentre Rachel, il cui nome d'arte è Anne (che, pronunciato in inglese, è omofono al francese haine, "odio") giunta in Francia reincontra amiche e fidanzati di 25 anni prima una serie di flashback ci raccontano le sue vicissitudini di allora mentre passato e presente si intrecciano in un vortice dai risvolti sempre più complessi.

No costituisce uno sforzo produttivo notevole  per un progetto indipendente che cerca di convogliare e coordinare contributi di discipline diverse.

Accanto al teatro di parola le arti visive contaminano le scenografie con riferimenti alle avanguardie della pop art italiana e alla op art nelle belle scene ottiche proiettate sul fondale di quinta, dove coloratissime e psichedeliche immagini iniziano ad animarsi in alcune delle componenti del disegno geometrico, un omaggio lisergico alla droga e ai suoi effetti, che sono uno degli elementi narrativi dello spettacolo.

Riuscitissima la declinazione doppia del testo in inglese e francese (con innesti  italiani) un doppio sul quale drammaturgicamente è costruito il racconto parallelo che vede gli stessi personaggi agire nel 1977, distinti dai coloratissimi fondali psichedelici di cui si è detto, e  nel 2012, dove le scenografie si distinguono per l'asettico bianco con cui sono dipinte, un doppio sviluppato tematicamente nell'opposizione gioventù vecchiaia e in quella speculare vita morte.

Quel che sembra mancare allo spettacolo sono purtroppo proprio le musiche.

Tre brani e mezzo quelli eseguiti in tutto lo spettacolo, il mezzo brano No (un rif più che altro ripetuto e ribadito, omaggio-parodia dei pezzi punk estemporanei delle band di allora)  che dà il titolo allo spettacolo, mentre le musiche originali millantate nella locandina si riducono a tre brani uno solo dei quali cantato (con una verve non certo punk quanto à la Jane Birkin) mentre gli altri due si limitano a essere dei brani musicali con recitativo.

Un po' poco per farne uno spettacolo punk o che inneggia al punk.

Molte le lungaggini della messinscena, compresi i lentissimi cambi di scena eseguiti a vista senza una vera forma che li irregimenti come parte del racconto, un paratesto ingombrante lasciato a se stesso e pretestuoso perchè, tranne  nell'allestimento per ricostruire l'ambientazione nel cimitero prevista da una scena, la scenografia poteva essere lasciata immobile invece di essere sgombrata e ricostituita ogni volta. Lo spettacolo manca di un proprio ritmo musicale senza indizio alcuno che suggerisca se si tratta di una scelta di stile o di una macchina scenica che deve ancora essere rodata.

La materia narrativa (tra i sogni che si rivelano essere ricordi) avrebbe trovato una collocazione più consona nel medium delle immagini in movimento (video o cinema) come dimostra il bellissimo promo che gira su youtube nel quale tutta la grinta che allo spettacolo sul palco manca è presente in tutta la sua dirompenza.

Sul palcoscenico invece tutto si sfalda e perde ritmo perchè manca allo spettacolo un suo fulcro drammaturgico che non sia la storia da raccontare ma la sua necessità scenica il fatto, cioè, che la si racconti a teatro, dal vivo, su di un palco.

La storia sviluppata parallelamente tra i due periodi storici ingenera sinergie narrative complesse e interessanti nel modo in cui sono raccontate sviluppando innumerevoli sottotrame però nessuna di queste si sottrae alla logica dell'aneddoto della vita privata, del biopic avulso da qualunque contesto politico e sociale.

E la domanda della protagonista se il fare dischi per essere venduti non sia un modo per abdicare al mercato è una domanda di sovrastruttura che non fa riferimento a nessun conflitto sociale, di allora come di oggi, che non racconta le violenze collettive né gli scontri con la polizia di allora che nona accenna alla riprese delle istanze politiche del sessantotto nell'anno 1977, vita politica di cui il punk è stato uno degli tanti elementi espressivi.

Senza volerlo lo spettacolo soffre di un elitarismo che trova la stessa radice nella sua doppia lingua quel francese e quell'inglese lingue comuni all'Europa che in Italia davvero pochi parlano e capiscono proprio come pochi oggi capiscono e sanno collocare il movimento punk anche solo da un punto di vista meramente musicale.

Le musiche dello spettacolo non aiutano in questo senso e il pubblico deve contare solamente sulle proprie conoscenze di quegli anni per potersi orientare fra rimandi e citazioni presenti ne testo che rimangono sotterranee e sopite emergendo solo i dettagli più evidenti e commerciali come il consumo di droghe, la promiscuità sessuale e l'allucinazione lisergica su cui si innesta il tema della morte, e un ritorno indietro nel tempo, come ne La jetée di Chris Marker del 1962.

Lontani ancora dallo spettacolo definitivo ci troviamo dinanzi solamente un primo studio cui ci auguriamo venga presto rimessa mano perchè la materia, acerba, dura, aspra selvaggia e forte c'è e aspetta solo di essere messa davvero a punto.

Visto il 12-03-2013