Quando il sipario si apre un'orchestra di sette elementi esegue un brano swing del repertorio italiano degli anni 30. Poi entrano in scena le sorelle Marinetti: Turbina, Mercuria e Scintilla al secolo Nicola Olivieri, Andrea Allione e Marco Lugli impeccabilmente vestite con degli abiti anni trenta, truccate e acconciate per apparire più che delle drag singer delle signorine per bene come se ne vedevano solo in quegli anni. Dopo aver ricordato le origini futuriste del nome che le lega a una ...sororanza artistica le sorelle si presentano, in maniera autoironica, proponendo al pubblico in sala un viaggio nel repertorio di brani jazz e swing italiani degli anni 30-40 spaziando dal trio Lescano a Macario, Rabbagliati e Delia Lodi. Le sorelle Marinetti eseguono i brani in "canto armonizzato", ognuna, cioè, esegue una linea melodica diversa che, unita a quella delle sorelle, compone una complessa partitura melodica, corposa, piena, ricca. I brani sono stati riarrangiati dal maestro Christian Schmitz con particolare cura filologica ed eseguiti dall'orchestra Manischalchi, da lui diretta, con altrettanta precisione, sfruttando le particolari doti canore delle tre sorelle che cantano in un falsetto preciso e potente. Al trio per alcuni branim originariamente interpretati da voce maschile, si affianca Gianluca De Martini che non è all'altezza delle Sorelle né per la verve canora né per attitudine scenica. Turbina, Mercuria e Scintilla infatti non si distinguono solo per l'impeccabilità delle esecuzioni canore, dove il falsetto non è mai artificioso, ma caldo, vivo, modulato anche su toni più bassi ma comunque sensibilmente alti per una voce maschile, dando a quella che è sostanzialmente una tecnica artificiosa un incredibile spessore artistico, ma anche per l'attitudine, la postura, le coreografie che eseguono, create da Andrea Allione alias Mercuria Marinetti, per la capacità che hanno di rileggere in chiave camp l'immagine del femminino proposta negli anni del fascismo. De Martini invece ha una postura troppo moderna, una voce priva di una fisionomia ben precisa e, insomma, non convince pienamente come le tre sorelle.
Non ce ne importa niente (che riprende il titolo del primo album pubblicato dal trio nel 2008) non è solo un concerto, tra una canzone e l'altra le tre sorelle discettano di storia della musica italiana, costumi dell'Italia fascista (spassossissimo Andrea Allione che rifà il verso a Mussolini) tra citazioni colte della storia della canorità swing (le Boswell Sisters che furono le antesignane del genere negli anni 20 alle quali sia le Andrew Sisters, delle quali eseguono Bei mir bist Du schön, sia il trio Lescano stesso furono debitrici) a quelle della rivista italiana, da Macario a Wanda Osiri (autarchicamente senza la esse finale), spaziando in un repertorio da troppo tempo dimenticato dimostrandone la bellezza e la godibilità: Il pinguino innamorato, Ma le gambe, Tulipan, La gelosia non è più di moda, Non sei più la mia bambina, tanti sono i brani interpretati egregiamente fino ad arrivare a una sorprendete, geniale e musicalmente impeccabile rivisitazione di Dov'è l'amore di Cher in chiave rigorosamente swing a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, il genio del maestro Schmitz e la bravura dell'orchestra tutta.
Mente e patron delle tre sorelle è Giorgio Bozzo che, anni addietro, assieme al maestro Schmitz ha avuto l'idea di formare un gruppo di cantanti en travestì per ridare vita a un repertorio dimenticato. Suoi i testi, che risultano la parte più debole dello spettacolo. Se infatti la parte musicale è ineccepibile, di altissimo livello, se le doti recitative delle tre sorelle sono indubbie (nascono tutte e tre come attori prima ancora che come cantanti) se il senso di un gruppo canoro en travestì si trova chiaramente nell'ironia con cui approcciare un tipo di immagine femminile molto affettata e maschilista cui il fatto che a interpretarla siano tre uomini ne rovescia magnificamente il vieto sessismo di allora (fascista) quel che manca allo spettacolo è una visione storica più lucida e coerente. Molti sono i cliché usati nel descrivere il ventennio: dalla diffusione della radio, che era tutt'altro che un mezzo di massa stentando a diffondersi dati gli altissimi costi, presentando la modesta cifra di 800 mila abbonati come un traguardo notevole mentre negli stessi anni la Germania aveva superato i 3 milioni di abbonati, al cinema, presentato come precipuo mezzo di comunicazione del regime (quando invece Mussolini se ne occupò tardivamente, solo dopo il 1936). Non c'è distinzione tra il fascismo degli anni venti, quello degli anni trenta e quello tragico della guerra (arrivando ad affermazioni come si era nel 1941 e la guerra era appena cominciata...). Nello spettacolo si passa disinvoltamente dagli anni venti alla guerra come si trattasse dello stesso periodo dimenticando di dire che quando Macario cantò le gocce cadono si era nel pieno della guerra e si pativa già la fame... Insomma la società fascista non emerge mai per quel che è davvero stata se non in un timido accenno all'arresto del trio Lescano a causa delle leggi razziali... Un'occasione mancata di fare davvero cultura pur mantenendo il piglio ironico e leggero con cui lo spettacolo è stato giustamente imbastito, ma se i testi di Bozzo avessero avuto anche solo un decimo della precisione filologica delle rivisitazioni musicali del maestro Schmitz lo spettacolo ne avrebbe guadagnato non solo in precisione storica, ma soprattutto in impegno civile.
Così com'è la rivisitazione musicale di quegli anni rischia di apparire leziosa, superficiale se non ambiguamente nostalgica, iscrivendo l'operazione stessa (cioè tre uomini che cantano in falsetto vestiti da donna) nella sfera frivola di quel femminino in cui l'Italia fascista relegava la donna e in cui Giorgio Bozzo sembra maldestramente scivolato per avere seguito il gusto camp che per quegli anni ha una curiosità esclusivamente estetizzante, incurante dei risvolti storici e sociali. Unico neo di uno spettacolo musicalmente riuscitissimo ma anche questa insensibilità per la storia è figlia dei tempi e deriva direttamente da quegli anni di ...spensierato regime.