Una scrittura arguta ed incalzante, l’impagabile verve di una delle regine indiscusse del teatro italiano, un lirismo sognante che quasi ci immerge in un mondo metafisico dove il caos apparente diventa ordine, la capacità di far riflettere sulla vita, ecco gli ingredienti salienti di questa straordinaria commedia, scritta dalla stessa Franca Valeri, andata in scena al Teatro alle Vigne di Lodi.
Un’anziana contessa dal linguaggio forbito e dal passato movimentato, deliberatamente in bilico fra le proprie fantasie e una realtà che in parte rifiuta, giunge, accompagnata da una zelante segretaria ossessionata a sua volta dal bisogno assoluto di fare chiarezza, in un vecchio palazzo fatiscente dove la contessa pensa di aver vissuto. Alla coppia si aggiungono ben presto una stravagante pantalonaia assunta lì per lì come cameriera e un uomo di mezza età che vive all’interno del palazzo e asserisce di essere il figlio della nobildonna, il tutto alla presenza di una stufa in maiolica sempre spenta, simbolo del passato, che nel corso dello spettacolo nessuno mai riesce ad accendere.
Da questo canovaccio la pièce si dipana senza una trama particolare indagando il tema dei ricordi fra momenti lirici e battute comiche in un equilibrio perfetto. I personaggi interagiscono fra loro quasi sospesi in un mondo ovattato e aristocratico, che ha come motore immobile e centro gravitazionale la figura della contessa la quale rifugge con ostinazione e caparbietà i rapporti umani quasi le fossero di ostacolo a vivere liberamente l’esistenza. Il testo, intelligente e sottile, è colmo di aforismi indimenticabili e lapidari sull’essenza della vita e sull’opportunità di trattenerne i ricordi: un inno alla leggerezza velato di malinconia.
Nei panni della protagonista una Franca Valeri in forma smagliante che incarna, con tutto lo spirito che da sempre la contraddistingue, la figura di una donna eccentrica, apparentemente cinica e superficiale, ma in realtà dal pensiero acuto e profondo. Con lei Urbano Barberini nelle vesti di figlio prima negato poi (forse) ritrovato, l’algida segretaria impersonata da Licia Maglietta e la cameriera un po’ sognatrice interpretata da Gabriella Franchini. Efficace la regia di Giuseppe Marini, molto belle le imponenti scene, che fanno ben rivivere il senso di gloriosa decadenza di certi palazzi aristocratici, di cui si è occupato Alessandro Chiti.