La mise en scene di Alberto Fassini ripresa da Vittorio Borrelli di "Norma", ha conservato l'efficacia intrinseca alla sua stilizzazione: mai semplicistica, atemporale, focalizzata su punti chiave che hanno permesso una rispettosa quanto eloquente valorizzazione del tessuto musicale belliniano. Nel clima attuale in cui spopola il malvezzo di prevaricare i compositori, non è fattore di poco conto.
Pareti di nuda roccia, grigio argentee, si sono spalancate su cupi antri, hanno lasciato intravedere squarci di cieli solcati da nubi, hanno incorniciato dolmen e scranni, svelato una statua romana decapitata quale emblema del potere censurato esercitato dai romani nelle Gallie. Simbologia di immediata decodifica (vivaddio) proceduta di pari passo con l'essenzialità del gesto, per non sovrabbondare di elementi lo spazio d'azione ridotto ai minimi termini dall'imponente impianto scenografico (di William Orlandi, come i costumi), creato per palcoscenici più ampi e che al Coccia ha cagionato sofferenza ai movimenti delle masse. Mole peraltro rivelatasi esaustiva nel delineare il clima opprimente, la severità della drammaturgia, l'introspezione psicologica dei soggetti dibattuti tra la freddezza di pietra degli animi e la focosa passionalità dei sentimenti. Selvatici i paramenti di muschio degli abitanti la foresta sacra; indulgenti alla tradizione classica con sfoggio di ornamenti in oro, quelli dei romani. Una tunica e un rosso mantello hanno accompagnato in ogni quadro Norma (ahilei, la cintura a teste di serpente ne ha evidenziato ogni presa di fiato), il Proconsole Pollione ha indossato una corazza guarnita da pelli di animali, d'impalpabile leggerezza la virginale veste di Adalgisa.
Principiamo proprio dall'Adalgisa del mezzosoprano Veronica Simeoni, che definiamo una rivelazione benché consci del suo percorso artistico già costellato da importanti tappe. Timbro chiaro, ottimamente proiettato su registri sopranili (Bellini affidò il debutto dell'opera a due soprani); emissione vellutata, fraseggio accurato, meditato, volto all'espressività angelica del personaggio. Senza sbavature né cedimenti la tenuta della linea di canto, di grandissima eleganza: un capolavoro di raffinatezza interpretativa. Circa il restante cast, la recita si è svolta in crescendo. Alessandra Rezza (a sostituire l'influenzata Maria Billeri) ha esordito con timbrica appannata, per poi trovare limpidezza nel secondo atto. Pur permanendo qualche incertezza negli acuti, lo stile si è fatto morbido e sono emersi quei chiaroscuri lirici inframmezzati alle tensioni drammatiche indispensabili al tratteggio dei turbamenti interiori di Norma. Roberto Aronica, inizialmente teso ad evidenziare la potenza dello squillo (forzatura sfociata in una screziatura dell'ugola) dopo l'intervallo si è abbandonato ad un'intensa varietà di accenti che ha conferito un romantico impeto sentimentale a Pollione. Se Aronica, alla ricerca dell'appoggio per il diaframma, ha allargato i tempi dettati dal podio, Luca Tittoto li ha anticipati: Oroveso dalla carismatica presenza, garbato nel porgere la voce corposa, sonora, riccamente tornita. Puntuali Giacomo Patti, Flavio e Alessandra Masini, ambrata Clotilde. In difficoltà a sincronizzarsi con la buca, il Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno che Mauro Rolfi ha retto tra momenti di bella pienezza e qualche passo incerto.
Il direttore Matteo Beltrami, attento a supportare al meglio le esigenze canore, è riuscito a far emergere lo spessore delle sezioni dell'Orchestra Filarmonica del Piemonte, non sempre puntualissima, nonché a far ben figurare la compagine strumentale dietro le quinte, che durante gli applausi conclusivi si è svelata essere composta da musicisti adolescenti. Notevole la sua lettura belliniana, carica di tensione psicologica nonché di impeto vitale che ha conferito peculiari sfaccettature al dramma costellato da ricorrenti idee di morte.