Dimenticatevi il ceruleo astro lunare. Dimenticatevi lo scudo bronzeo d'Irminsul. E pure la sacra, verdeggiante foresta dei Druidi. Nulla di questo troverete nella Norma di Bellini che Stefania Bonfadelli – ennesima voce prestata alla regia – ha approntato a Bologna per il Comunale Nouveau. Sede alternativa per qualche anno, in zona Fiera, dell'antico edificio teatrale del Bibiena in corso di restauro. Molto comoda da raggiungere, internamente ampia ed elegante, ma dall'acustica alquanto ingrata.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Addio alle fronde ed al vischio
Dunque: la Bonfadelli ci propone uno spettacolo di desolazione, di terra devastata. Tanto che, dato che delle maestose querce, ridotte a ceppi arsi dal fuoco, non è sopravvissuta fronda da cui cogliere il sacro vischio, non resta che recidere ed offrire al Dio pagano le fluenti chiome delle vestali galliche. Peraltro leste a tramutarsi in bellicose amazzoni, al pari di Norma, chiudendo così uno dei pochi momenti di pausa concessi dalle ininterrotte scaramucce tra Galli e Romani.
Una guerriglia talmente invadente da disturbare già subito per le sue efferatezze – ci scappa pure la morte di una bimba – la rutilante Sinfonia belliniana. Talmente onnipresente, che per renderla più credibile si è chiamato un preclaro maestro d'armi israeliano - ma oggi si dice stunt&action designer - ad istruire un drappello di figuranti della locale Scuola di Teatro.
Un'orgia insopportabile di violenze
Palesemente memore di precedenti soluzioni visive analoghe, questa ultima Norma felsinea ci sottopone insomma un mondo di violenze senza fine, da una parte e dall'altra - compresi gli immancabili stupri, compiuti qui dai legionari – che però finisce per convincerci poco o nulla, lasciandoci con la bocca amara. Sia per la drammaturgia fuorviante, troppo volta all'effetto, sia l'eccessiva enfasi complessiva, sia per l'affastellamento di invenzioni inutili.
Una per tutte, l'agnello sgozzato e decapitato da Norma, meditando l'uccisione dei figli: rappresentati non dormienti, ma dai loro abiti e zainetti. Fattori che minano alla base il nobile, neoclassico impianto dell'opera, lasciando ahinoi sullo sfondo i tumulti interiori dei protagonisti.
Musica come un tempo
Pier Giorgio Morandi sceglie d'eseguire una Norma come s'usava un tempo, con vari tagli ed accorciamenti. E di nuovo senza i due soprani, negandole quella fisionomia originale che vede in Adalgisa una figura ingenua e angelicata. Si prende qualche libertà coi tempi, però in compenso sostiene adeguatamente il canto con buona leggerezza, e sfruttando tutte le risorse dell'orchestra felsinea realizza uno strumentale di lussureggiante maestosità e dai colori smaglianti. Anche il Coro curato da Gea Garatti Ansini dipana bene il suo fondamentale ruolo.
Tre debutti bolognesi in Norma, in quindici anni
Francesca Dotto si cimenta per la prima volta col profilo di Norma. Però, conoscendo le sue indubbie potenzialità, ci aspettavamo di più. Colpa di un debutto forse prematuro: allettanti doti vocali, tecnica agguerrita e stile ci sono, buona indole attoriale anche, ma nella sacerdotessa (e madre, e amante, e qui anche guerriera) del soprano veneto non emerge del tutto né il complesso carattere, né s'intravede il pieno possesso del ruolo. Anche perché, a dirla tutta, la regia le si mette di traverso.
D'altronde basti pensare come proprio qui, a Bologna, vedemmo esordire nell'ostico personaggio due astri della lirica quali Daniela Dessì (2008) e Mariella Devia (2013), non di certo fanciulle. La prima a 51 anni, la seconda addirittura a 65, peraltro «danzando sulle parole con grazia giovanile», come ebbe a commentare su Repubblica il collega Luca Baccolini. Diamo dunque tempo al tempo.
Un Pollione buttato lì
Stefan Pop gigioneggia alquanto con il suo prosaico Pollione, sbrigato con la consueta, attraente vocalità, segnata da luminosa emissione e da acuti facili e squillanti; ma pure con palese e fastidiosa superficialità, Tanto interpretativa, quanto di fraseggio. Veronica Simeoni torna alle soglie del belcantismo con una Adalgisa corposa e piena, ricca di espressività, di belle modulazioni, di tinte intense, e dal pertinente fraseggiare; e poi ben scavata nella psicologia adolescenziale, superando lo scoglio del timbro mezzosopranile.
Nicola Ulivieri pone in campo una voce più chiara di quelle che solitamente si prendono carico di Oroveso, però sa renderne con consapevole bravura il nobile e fiero carattere di guida e di guerriero. A dimostrare che le parti di fianco sempre contano, Benedetta Mazzetto è una intensa Clotilde, Paolo Antognetti un Flavio di superiore qualità.
Solo per dovere di cronaca, citiamo la brulla scenografia unica di Serena Rocco, i banali costumi di Valeria Donata Bettella (i Galli un po' cenciosi, i Romani in tuta mimetica ), le sapienti luci di Daniele Naldi.