In concomitanza dell’Expo, il Regio di Torino mette in scena quattro capolavori della tradizione lirica italiana appartenenti a stili e compositori diversi: dal Barbiere di Siviglia alla Bohème passando per Norma e Traviata, sfidando la calura estiva e garantendo, con la capacità produttiva che gli è propria, ogni sera dal 9 al 26 luglio uno spettacolo diverso con protagonisti di eccezione. Per questo festival estivo rivolto, oltre che ai torinesi, a un pubblico di turisti soprattutto stranieri interessati a una panoramica sui “classici” da non perdere della lirica, il Regio propone allestimenti del teatro d’impronta tradizionale affidati a voci di richiamo anche per i melomani.
L’allestimento di Norma firmato da Alberto Fassini (ripreso da Vittorio Borrelli), più volte riproposto al Regio e visto anche in altri palcoscenici italiani, non ha pretese registiche e si limita a creare un decoro facilmente leggibile e funzionale a dare il giusto rilievo al canto con una disposizione di singoli e masse prevalentemente frontale. Il movimento scenico privilegia una gestualità stilizzata e composta, quasi scolpita, per dare pieno risalto a una tragedia che si consuma nel canto e nel declamato. Un apporto registico di segno neutro che non distoglie l’attenzione dal canto ma non aggiunge nulla a quanto esposto dalla musica.
Lo scenografo e costumista William Orlandi abbozza una Gallia rupestre e notturna, caratterizzata da quinte mobili costituite da pietre scistose dai profili irregolari che, nel corso dello spettacolo, inquadrano diversamente il fondo della scena, mostrando cieli all’imbrunire, vestigia e statue romane, boschetti notturni. In una rappresentazione didascalica non mancano la luna piena e il grande dolmen al centro dove si concentra buona parte dell’azione drammatica. L’uso così marcato della pietra evoca un mondo barbarico e ancestrale e l’atmosfera nordica è sottolineata da cromie fredde e azzurrine che si accendono poi di squarci rosso fuoco per dare rilievo ai drammi individuali e alle passioni. I costumi, se pur con qualche eccesso kitsch nell’uso di pelli, pepli e scudi, marcano l’opposizione fra barbari e romani e la rossa veste di Norma, sontuosa e neoclassica come è nel nostro immaginario dalle braccia candide scolpite dalle luci di Andrea Anfossi, si oppone alle fluttuanti vesti bianche e azzurrine di Adalgisa. Il movimento delle quinte è funzionale all’entrata in scena di coro e personaggi nel rispetto della divisione delle scene e consente una precisa disposizione delle masse che, se pur improntata a un eccesso di simmetria, contribuisce a una visione armonica in sintonia con il discorso musicale.
Come si conviene a una rassegna che ha per tema “the best of italian opera”, tutto italiano il cast. Il ruolo protagonista è stato interpretato da Maria Agresta, allo stato attuale la cantante che meglio esprime tradizione e valori di un canto all’italiana, fondato su tecnica e controllo d’emissione, ma anche su mezze voci, accento e fraseggio. La Norma della Agresta ha voce squisitamente lirica e non a caso conquista soprattutto nella seconda parte nell’esprimere i toni dello sgomento e dell’abbandono: come nei “teneri figli” intrisi di malinconica dolcezza e nel secondo duetto con Adalgisa. Si apprezza l’intelligenza dell’interprete nel cantare con la propria voce senza enfatizzare oltremodo gravi e acuti per ottenere facile effetto. Meno fulminanti rispetto al nostro ideale i momenti di coloratura ascendenti.
Adalgisa ci sembra particolarmente congeniale a Veronica Simeoni, a partire dalla presenza fisica, delicata e sensuale al tempo stesso, ideale per rappresentare la giovane sacerdotessa rivale, caratteristiche che si ritrovano nel canto levigato di perfezione neoclassica screziato di vellutata dolcezza. Roberto Aronica è un Pollione autorevole, decisamente virile e fiero come si conviene a un condottiero romano; la voce è possente, dagli acuti saldi e ricca di comunicativa come vuole certa tradizione, anche se si avvertono dei cali d’intonazione nei passaggi di registro. Riccardo Zanellato è un Oroveso equilibrato di cui si apprezza l’autoritas scenica e il giusto peso vocale. Completano il cast il Flavio di Andrea Giovannini e la Clotilde partecipe di Samantha Korbey.
Roberto Abbado imprime una direzione vigorosa e incisiva volta a mettere in rilievo i colori e spessori dell’orchestra con un bel senso del chiaroscuro. La sua lettura, più romantica che neoclassica, sembra guardare più a Verdi che agli stilemi espressivi belliniani ma ha il vantaggio di risultare avvincente e adatta al contesto. Compatta e coesa l’orchestra. Un plauso al coro preparato da Claudio Fenoglio in perfetta sintonia con solisti e orchestra.
Un pubblico particolarmente caloroso (decisamente numeroso, considerata l’afa pomeridiana) ha tributato lunghi e sentiti applausi nel corso e alla fine della rappresentazione.