Secondo titolo in cartellone del Macerata Opera Festival 2024, Norma di Vincenzo Bellini viene eseguita nella versione per due soprani, senza tagli, con l’esecuzione completa di code e riprese così come la concepì originariamente il suo autore.
Quando l’essenziale diventa un pregio
Un’enorme luna dalla luminosità cangiante che troneggia sul muro dell’arena, sul palco quattro piattaforme metalliche munite di scale di due diverse altezze, tra loro combinabili o viceversa separabili grazie agli oculati movimenti eseguiti a vista dal personale, sul fondo i tre grandi accessi al grande palco aperti: questi gli elementi scenici pensati da Daria De Seta in collaborazione con lo Studio Garcés – de Seta – Bonet Arquitecte.
A fare la differenza sono le splendide luci di Peter van Praet spesso focalizzate sui personaggi per indicarne l’incomunicabilità e la gestualità garbata, rarefatta ma fortemente simbolica della psicologia dei protagonisti, ben ideata dalla regia di Maria Mauti.
Meno centrate, invece, appaiono alcune coreografie come quelle eseguite da un manipolo di fanciulle che agita un telo bianco, forse a ricordare il candido colore dei raggi lunari, durante l’esecuzione di “Casta diva” oppure quelle realizzate sempre dalle stesse con in mano bacili d’argento, alla fine del primo atto con l’intento di frapporsi, almeno all’apparenza immotivatamente, tra i tre protagonisti a confronto fra loro. Poco significativi anche i due video progettati da Lois Patino, belli i costumi senza tempo di Nicoletta Ceccolini.
Al centro dell’attenzione fin da principio sono i figli che si concretizzano inizialmente solo come ombre per poi apparire sempre più spesso, seppur defilati, come memento concreto di quell’amore materno che rischia di essere negato in nome della vendetta.
Una bacchetta magistrale e un cast coeso di alto livello
Una menzione particolare va alla direzione di Fabrizio Maria Carminati che, ben assecondato dall’Orchestra Filarmonica Marchigiana, ha saputo cogliere le forti tensioni drammatiche che costellano la partitura, aprendosi al contempo ad un lirismo melodico di ampio respiro, seppur rimanendo sempre all’interno di una concertazione rigorosa e di supremo equilibrio.
Voci splendide e perfettamente complementari per le due grandi protagoniste femminili. Marta Torbidoni incarna una Norma volitiva, che giganteggia per vigore interpretativo e coesione drammatica: l’acuto svetta ed è sempre ben controllato, il declamato è incisivo nella sua potenza, il timbro spicca per luminosità e morbidezza.
Al suo fianco l’Adalgisa di Roberta Mantegna appare granitica nella sua fermezza, brilla per sottigliezza di fraseggio e precisione nelle agilità, sempre in perfetta sintonia con l’amica/rivale nei duetti.
A completare il triangolo amoroso, il Pollione di Antonio Poli palesa, al netto di qualche iniziale prudenza, ottime qualità vocali che gli consentono di districarsi senza ostacoli anche tra i passaggi più ardui della sua partitura in un vero crescendo di immedesimazione.
A fianco del terzetto l’ottimo e autorevole Oroveso di Riccardo Frassi già ascoltato nella precedente Turandot nei panni di Timur. Di vaglia anche tutti i comprimari: la solidissima Clotilde di Carlotta Vichi e il ben definito Flavio di Paolo Antognetti. Fondamentale l’apporto del Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” ottimamente preparato da Martino Faggiani.
Grande successo e molti applausi per uno spettacolo la cui riuscita è stata certamente e non poco determinata dall’ottimo equilibrio fra le varie componenti e dal loro perfetto coordinamento.