Un attore e due musicanti, un aedo moderno con i suoi strumenti, mettono in scena l’Odissea di un Telemaco salentino, figlio di Ulisse, partito per la guerra e mai più tornato, e di Penelope-Speranza, che si è chiusa nella casa e aspetta cucendo, dietro le gelosie, chi non tornerà più. L’Odissea di Mario Perrotta è solo liberamente tratta dall’originale omerico, trasformato, dallo sguardo visionario dell’autore-regista-attore, in una teoria di quadri, di episodi, tratti dalla vita del suo novello Telemaco.
Il protagonista, come il suo omonimo omerico, è vissuto senza la presenza del padre, eroe di guerra mai tornato, ed è combattuto tra un amore cieco per questo ‘Lui’, autore di straordinarie imprese, e un odio rabbioso per chi l’ha abbandonato per inseguire i suoi dubbi, le sue curiosità, i suoi ‘perché’ - che prendono la forma delle sirene, del ciclope, della maga Circe, di Scilla e Cariddi – e ha lasciato la madre alla mercé della malelingue del paese, sedotta e abbandonata, rinchiusa nella solitudine e nel buio della sua casa, al riparo dagli occhi del mondo.
In questa Odissea rivisitata, Telemaco è un ragazzo caparbio, ma sognatore, che si lascia affascinare dai racconti favolosi sui viaggi paterni narrati da ’Antonio delle cozze’, una specie di Eumeo che, invece di nutrire i porci di Ulisse, nutre il mare con i suoi mitili, e sembra avere stretto un patto con le onde. Il ciclope Polifemo è un mostro che abita una caverna d’acciaio che assomiglia al laboratorio di uno scienziato pazzo; un essere deforme che compie esperimenti di medicina sulle sue pecore, innestando loro parti di corpi umani. Le sirene sono ragazze da cartellone, veline, sciacquette, squillo di carta che richiamano, con la loro avvenenza, i marinai di passaggio fino a farli impazzire. Circe, poi, è la tenutaria di una casa d’appuntamenti, di un castello-bordello, popolato da qualsivoglia tipo di donna, ragazza, bambina, per soddisfare anche i più esigenti turisti del sesso, i veri porci del nostro tempo.
Mario Perrotta, un po’ Totò, un po’ Petrolini, dando prova di una grande capacità attoriale, mimica e prossemica, verbale e canora, accompagna la narrazione della vicenda con canzoni e ritornelli, giochi di parole – mitile, milite, limite – stornelli e citazioni da Omero in dialetto leccese; si aggira per il palco con movenze felpate e scanzonate, comiche e tragiche, toccando ogni corda del teatro, dalla grande tragedia, al mimo, all’avanspettacolo. Il mare, divinità protagonista dell’Odissea quanto gli altri personaggi, resta invisibile al pubblico, ma è evocato dalle ondate di parole, sciorinate con maestria dalla velocità di dizione di Perrotta, e sembra travolgere gli spettatori in un turbine inafferrabile.
Il pubblico appare conquistato dall’opera di rilettura dell’attore leccese, nonostante resti talora disorientato dalla rapida successione degli episodi del racconto, non sempre facilmente interpretabili. Gli arditi passaggi dal presente di Telemaco, al passato di Ulisse, dall’Odissea moderna alla sua omonima classica, da un personaggio all’altro – tutti ben caratterizzati, ma interpretati da un solo attore – non sono così immediati per il pubblico e rischiano di far naufragare nell’incomprensibilità un esperimento teatrale di grande impatto e forza emotiva.
Bergamo, Teatro Donizetti,
Auditorium di Piazza della Libertà, 5 gennaio 2009
Visto il
al
Incontro
di Pinerolo
(TO)