Odisseo! Quanti ricordi legati a questo nome! Il re di Itaca, lo stratega che con il suo cavallo sconfisse i troiani, l'uomo che la storia ricorda come il più astuto e furbo tra i suoi simili. Odisseo, o Ulisse, quante ne ha passate... Omero, il poeta, l'artefice della narrazione delle peripezie dell'eroe greco, ha trasmesso ai posteri la storia di un uomo che ha sfidato gli dei e che ne ha subito le tragiche conseguenze.
Ma, Omero avrebbe mai immaginato che, secoli dopo, la sua storia sarebbe stata raccontata in teatro? Forse si, dopotutto, i greci sono stati maestri dell'arte, ma che l'Odissea venisse narrata in siciliano, credo che neanche il grande poeta, che di storie fantastiche se ne intendeva, avrebbe mai potuto pensarlo.
Lo spettacolo è molto semplice, con una scenografia “spartana”, sempre per restare in tema di antica Grecia: una sedia, un leggio e un'arancia e un mandarino poggiati vicino ai piedi dell'attore, semplicemente per dare un tocco di colore e spezzare con il fondo scuro del palco.
Con ironia e sense of humor, Domenico Pugliares, autore dello spettacolo, con la preziosa collaborazione di Omero, ha traghettato il pubblico in sala nel fantastico mondo di Odisseo. L'idea di interpretare lo spettacolo in dialetto siciliano è stata vincente: gli spettatori hanno apprezzato la novità e con curiosità hanno ascoltato l'interpretazione del novello Omero di Sicilia.
Narrando le peripezie di Odisseo, dalla partenza da Troia, all'approdo sull'isola di Circe, al tragico incontro con Polifemo, al ritorno ad Itaca e all'uccisione dei Proci che avevano preso possesso della sua casa e oltraggiato Penelope, l'attore ha analizzato con senso critico le incongruenze del poema, e ha fatto notare agli spettatori come l'arte di romanzare un'avventura il più delle volte con tiene conto di certi particolari: l'età di Ulisse, quasi settantenne al suo ritorno in patria ma dipinto come aitante combattente; Argo, il cane che muore un istante dopo aver rivisto il padrone; il figlio, che riconosce un padre mai conosciuto.
La “paraculaggine” di Omero, come ha voluto sottolineare Palmares, è molto fine e arguta, e anche lo spettatore più ingenuo può notare come in diverse circostante il famoso aiuto divino o l'astuzia fuori dal comune dell'eroe altro non sono un salvagente lanciato a colui che doveva rappresentare, ai tempi e anche ai giorni nostri, l'emblema dell'uomo greco forte, capace di affrontare anche il parere avverso degli dei e degli elementi naturali pur di raggiungere il suo obiettivo: un uomo greco che simboleggia lo splendore di un popolo di navigatori e conquistatori.
La narrazione è stata piacevole e accompagnata a momenti di lettura di testi dell'Odissea tradotti in lingua siciliana, successivamente commentati dall'autore. Anche se la guerra di Troia è ormai storia da leggere sui libri, il paragone con gli attuali conflitti armati nel mondo è impressionante. Il conflitto troiano è stato il primo esempio di invasione su grande scala di un territorio ricco e potente come era quello di Troia, che controllava lo stretto dei Dardanelli, importante via commerciale: altro che riconquista di Elena! L'intero spettacolo altro non è che la dimostrazione di come, ancor oggi, grazie alle favole i potenti giustificano le guerre di conquista, e il riferimento all'Iraq è d'obbligo; con questa riflessione lo spettatore, per un attimo, riflette su come la storia insegna, ma l'uomo non impara niente da essa, ma giusto per un attimo, dopotutto, l'uscita del teatro non è lontana, e la vita continua: Troia è caduta, ed a farsi male non sono i greci (leggi anche: noi occidentali viviamo nel benessere e giustifichiamo le guerre ai “troiani di oggi” per continuare a permetterci i nostri standard di vita).
Milano – Teatro della Cooperativa - 05/04/08
Visto il
al
della Cooperativa
di Milano
(MI)