Nell’ambito dell’opulenta e pregevole stagione concertistica Ferrara Musica, il Teatro Comunale Claudio Abbado ha proposto Œdipus rex, opera-oratorio in due atti per soli, coro maschile e orchestra. Quando Igor Stravinskij si riavvicina al teatro, dopo la composizione dell’opera buffa Mavra, decide di farlo con la collaborazione di un gigante della letteratura novecentesca, Jean Cocteau. E, cosa ancor più impressiva, opta per la lingua latina, con frequenti arcaismi. La lontananza stabilita con gli spettatori traccia una netta linea di demarcazione tra mito e vita reale e moderna, quasi a mantenere incontaminato il mondo antico, esplorato attraverso il filtro di un narratore volutamente distaccato e compassato.
La celeberrima vicenda di Edipo è tratta dalla tragedia di Sofocle e coglie, in una partitura estremamente condensata e stilizzata, i nodi focali della narrazione che Stravinskij tende a sintetizzare. Ne sortisce un lavoro caratterizzato dalle rifiniture geometriche, inesorabili nel loro progredire verso il baratro finale. Vi sono rimandi alle tradizioni musicali delle più disparate epoche, utili non a una critica sterile bensì a uno sguardo più ampio sulla musica e le sue capacità di ripercorrere stili e storia. Le sperimentazioni stravinskijane poggiano su timbri acri, forgiati da ritmi pulsanti, che replicano con ossessività formule ostinate e risaltano, fino allo stremo, le sonorità intrinseche al testo. Allo stesso modo, l’adozione di inconsueti parametri armonici sottolinea, con reiterata efficacia, gli snodi tragici della vicenda.
Nel flusso della narrazione si inseriscono gli interventi, pregni di significati, dei solisti. Primo tra tutti il protagonista al quale spetta la difficile resa dell’agnizione finale che sfocia nell’autolesionismo punitivo. Lo statunitense Brenden Gunnell risolve, non senza tensioni, la parte di Edipo. L’impervia tessitura costringe sovente il tenore a forzare l’ascesa all’acuto rischiando di perdere la rotondità dell’emissione nel registro centrale. Con la debita consapevolezza delle asperità veicolate dalla scrittura stravinskijana, l’artista si disimpegna cercando di risolvere, con intuizioni personali, il ruolo dal quale coglie le sfumature umane e l’ancestrale sentimento patrio. Non meno complesse le esigenze musicali richieste a Giocasta. Alla madre-sposa tocca, per prima, la comprensione della verità celata, a livello inconscio, da una più tollerabile realtà parallela. Le dolenti estrinsecazioni della donna vengono rivelate dall’interpretazione di Sonia Ganassi, chiamata a sostituire l’annunciata Julia Gertseva. Il mezzosoprano, già Giocasta in passato, nonostante alcune disomogeneità nella gamma, sottolinea, con buon temperamento, i tratti essenziali del personaggio, irrimediabilmente schiacciato tra il doloroso passato e le nubi pestilenziali del presente, carico di neri presagi. Al loro fianco agiscono l’indovino Tiresia affidato al veterano Albert Muff, dotato di vocalità ieratica ma a tratti afflitta da eccessivo vibrato, il fratello di Giocasta Creonte e il Messaggero, dei quali Marko Mimica offre una lettura abbastanza efficace, e il Pastore che si giova del bel timbro di Matteo Mezzaro, purtroppo incerto in zona acuta e perfettibile per quanto attiene l’intonazione. La presenza discreta ma partecipe di Toni Servillo, quale narratore, si inserisce nel tessuto della composizione esibendo dizione curata e accenti efficaci. Ottima la prova del Coro Filarmonico di Brno, nella sola sezione maschile richiesta da Stravinsky, preparato con grande attenzione dal maestro Petr Fiala.
Alla guida della pregevole Orchestra sinfonica nazionale della Rai, una delle compagini in assoluto più interessanti e valide della nostra penisola, vi è il direttore musicale uscente Juraj Valčuha che riesce nel difficile compito di cogliere i vari stili, fondendoli con piena padronanza delle intenzioni autorali. Prima dell’ampia partitura si è ascoltata la Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 di Sergej Prokof’ev. La denominazione Classica, voluta dallo stesso compositore, ci riporta alle considerazioni sul lavoro di Stravinsky: anche il collega più giovane cerca di conciliare modernità e tradizione senza seguire passivamente modelli prefissati. Pure in questo caso Valčuha opta per una visione attenta al ritmo e agli impasti timbrici, ottenendo una risposta orchestrale sintonica e affidabile.
Il foltissimo pubblico saluta con entusiasmo tutti gli interpreti, decretando il successo dell’intera rassegna ferrarese.