Ma i rapporti di gender sono un'altra cosa

Ma i rapporti di gender sono un'altra cosa

Officina teatrale è stato un laboratorio di otto mesi, durante i
quali si sono affrontati due temi quello del gender (=genere sessuale)  in rapporto con le altre o con la propria identità o verso il sesso tout-court e quello delle scomode eredità familiari. Il risultato del laboratorio sono due spettacoli patchwork che vedono in scena diversi corti teatrali (un termine improprio ma ormai comunemente entrato nell'uso)  che affrontano l'argomento da più punti di vista drammaturgici (monologhi, dialoghi, commedia, dramma) sempre  nell'alveo di un teatro squisitamente di parola.
Il tema del gender consiste di tredici corti presentati al pubblico con il titolo di Le diffidenze sessuali (verso l’altro, o verso il proprio sesso) stimolando la curiosità dello spettatore per un argomento che tra molte novità (dai diritti della donna a quelli delle nuove famiglie a quelli dei gay  e delle lesbiche) sta registrando dei notevoli cambiamenti sociali.
Vediamo i corti più da vicino.


Catalogo in rete di Andrea Ciommiento
con Gloria Gulino, Dario Iubatti, Alessandra Mortelliti, Jacopo Venturiero

L'atto unico è costruito secondo gli stilemi della commedia brillante e vede una coppia di giovani sposi presentare a un'altra coppia la loro nuova casa in centro mentre annunciano l'imminente arrivo del loro bambino scelto da un catalogo online illegale.
Scrittura a tratti veloci ma precisi che lascia molte situazioni non spiegate accennando a un futuro prossimo di neoconformismo (la casa al centro, la cioccolata 80% di puro cacao, i rapporti affettati e poco spontanei tra le persone) ma che si risolve nel trito (e sessista) tema della donna che ha paura a far nascere una nuova vita dentro di sé. Per una selezione di testi che deve affrontare i problemi col proprio gender un corto dall'impianto discutibile. Chi l'ha detto che, per una donna, la costruzione della propria identità sessuale debba necessariamente passare per quello della maternità? Tema anni 50 qui presentato come nuovo (ma basta internet?) mentre in realtà è vetero passatista (e che l'autore sia un uomo non è certo un caso...).


Sunday di Michele Di Vito
con Federico Brugnone, Diego Valentino Venditti
regia di Massimo Roberto Beato


Sunday è probabilmente il testo più prevedibile tra quelli presenti nello spettacolo. Un giovane, narcisista  e compulsivo onanista, racconta a uno psicologo (?) le sue vicissitudini sentimentali, un fidanzamento fallito (per la sua scarsa presenza, il lavoro lo tiene lontano dalla fidanzata per tutta la settimana) e la libido concentrata su di sé  e non sulla fidanzata. A ormai cinque anni dalla fine di quella relazione il soggetto in questione usa la chat. Quando il medico scopre che il giovane chatta con una ragazza che "va a scuola" lo abbandona un attimo per fare una telefonata.
Finale prevedibile (al limite della barzelletta messa in scena) e anche sottilmente ambiguo: una ragazza che va a scuola può anche essere maggiorenne (ci si diploma a 19 anni) allora la denuncia a cosa serve? L'onanismo compulsivo fa ridere ma è solo la boutade di un testo che una volta messo su quel binario non presenta sorpresa alcuna. Buona prova per Federico Brugnone che ha Physique du Rôle e lo spirito giusti per il personaggio (lo rivedremo come credibilissimo bullo in AAA Affittasi stanza). Basta il sesso illegale (con minori) procacciato su internet per avere un approccio nuovo al gender? Sui motivi del comportamento del protagonista il testo tace, limitandosi a presentarci il personaggio tale e quale.


Il cappotto di Nadia Terranova
con Pio Stellaccio
regia di Jacopo Bezzi

Monologo squisitamente recitato da Pio Stellaccio che racconta delle (solite) vicissitudini di un tossicomane, sposato, collassato e morto, che causa dolore alla madre e alla moglie, la cui unica novità è nel pusher che gli fornisce la droga che è una donna (subito apostrofata dal personaggio  coi soliti aggettivi maschilisti zoccola, troia, perchè gli ha venduto una partita di droga tagliata male).
L'interesse di questo monologo sta tutto nella suggestione del testo (nonostante un tema non proprio nuovo) che fa raccontare la storia praticamente un morto, e nella bravura dell'attore, non certo nel suo rapporto con le figure femminili che rimangnoo quelle maschiliste e italiote (mamma-moglie) di sempre

Il calciatore, la velina, la grande mamma di Samuele Boncompagni
con Vera Dragone, Jacopo Venturiero
regia di Massimo Roberto Beato

L'atto unico presenta un uomo  e una donna entrambi innamorati de La grande mamma un personaggio che non vediamo mai ma la cui presenza incombe sulla scena. Entrambi interpretano un personaggio (lei la velina, lui il calciatore) per piacere a Lei e devono contendersi il suo amore. La donna fatica a spartire la grande mamma con l'uomo il quale invece è più possibilista. La donna fa fatica a credere che la grande mamma faccia anche sesso con gli uomini (e lui per conferma le specifica che è entrato dentro di lei). Prima dentro e poi fuori dal ruolo che recitano per amore di questa donna (spacciatrice) i due si contendono prima l'oggetto del loro amore e subito dopo flirtano, si corteggiano, secondo i classici ruoli dove l'uomo si propone, fin troppo esplicitamente, e la donna si ritrae ma, si sa, è solo una tattica di seduzione. Un testo non privo di interesse per certo immaginario collettivo che ne emerge a tratti, dove purtroppo è tutto detto troppo rapidamente perchè i personaggi possano imporsi al pubblico e farlo riflettere. Tutto viene mostrato da un punto di vista esotico di sesso fatto in maniera strana che non mette in discussione i ruoli precostituiti ma li conferma presentando questa eccezione curiosa.

Sangue di cagna di Giuseppe Battiato
con Gloria Gulino, Dario Iubatti, Diego Valentino Venditti
regia di Elisa Rocca

Sangue di cagna è forse il corto più ambizioso che vorrebbe destrutturare cliché e luoghi comuni con l'arma dell'ironia ma rimane impantanato nei cliché che vorrebbe destrutturare. I due protagonisti, marito e moglie, non possono essere più ovvi. Lui la picchia. Lei è incinta e lo nasconde al marito. Il migliore amico di lui (che interpreta anche il narratore che commenta tutto il corto con fare ironico) gli consiglia di non picchiarla più e di portarle dei fiori e di essere sensibile, insomma di fare il frocio (sic!). Ma quando il marito scopre che la moglie è ancora incinta l'uomo le spara per poi prenderla a calci fino a farla uscire di scena. L'ironia che dovrebbe denunciare il patriarcato, la misoginia e il maschilismo di queste situazioni tradisce il divertimento di raccontare i rapporti uomo donna in questa maniera. La situazione descritta è al contempo esagerata (non c'è bisogno di arrivare a far uccidere e prendere  a calci una donna incinta per parlare di violenze domestiche...)  e prima di motivazioni non solo interne ai personaggi ma soprattutto culturali (quell'immaginario collettivo che dà senso e con il quale la violenza maschile e patriarcale acquista un significato concreto). L'iperbolicità è un'arma spuntata di denuncia perchè l'eccesso normalizza le situazioni di violenza reali (quelle che leggiamo sui giornali) facendo della violenza così esagerata un divertissement goliardico (e dunque, in fin dei conti, innocuo) a uso e consumo degli uomini. Anche la regia ha difficoltà a identificare un registro che dia coerenza all'azione drammaturgica: se Gloria Gulino sostiene il proprio personaggio con l'introspezione psicologica Diego Valentino Venditti trova coerenza  e plausibilità nell'iperbole;  solo l'eleganza del narratore è indovinata e consona al registro ironico che si perde però nel finale esageratamente violento.
Il pubblico se ne accorge e ci mette un po', alla fine del corto, prima di applaudire.

Le stelle di Giulietta di Ketty Di Porto
con Vera Dragone
regia di Valentina Rosati

Le stelle di Giulietta è un bellissimo monologo e probabilmente il corto più risolto tra quelli presentati, che racconta una storia d'amore che si trasforma in stupro, senza esagerazioni e con una logica interna e un'alta credibilità.  Una studentessa in trasferta a Roma ingaggia un giovane ragazzo timido e taciturno per ritinteggiarle l'appartamento. Se ne invaghisce presto ma non sa come superare la sua timidezza. Così nonostante capisce che lui si sia invaghito di lei, aspettando che lui faccia la prima mossa, passano i giorni senza che i due si dichiarino. Quando il ragazzo timido la sorprende una mattina salutare un altro uomo che ha trascorsa la notte con lei (ma col quale la ragazza non ha fatto nulla proprio perchè pensa a lui) dopo che il terzo incomodo si è accomiatato il ragazzo timido  la violenta gridandole che anche lui è un uomo. Lo stupro come affermazione tout-court della propria mascolinità: il corto non potrebbe essere più preciso sui meccanismi insiti nel maschilismo patriarcale che portano allo stupro come a una conseguenza naturale. Un monologo dall'alto profilo letterario che funziona sulla scena grazie alla splendida interpretazione di Valentina  Rosati che fornisce al proprio personaggio tutta la credibilità e  lo spessore che servono.

Guardami, papà di Franca Zucca
con Alessandra Mortelliti, Pio Stellaccio
regia di Massimo Roberto Beato

Guardami Papà  presenta un personaggio femminile disinibito e sessualmente promiscuo come un uomo. E invece di riconoscere alla donna, il diritto a essere promiscua, se lei vuole, proprio  come la società riconosce all'uomo, dopo aver raccontato, col tono da commedia, di come lei scarica uno dei ragazzi sedotti, individua nel trascorso familiare (un irrisolto conflitto paterno) la causa della sua promiscuità. nemmeno questo atto breve abbandona il cliché sessista sulla donna, se individua le cause di un comportamento che la società riconosce naturale agli uomini. Si badi bene il corto  non si preoccupa di criticare il comportamento promiscuo di per sé, sottolineandone la negatività per entrambi i sessi,  ma solo per quello femminile ignorandone la valenza di autoemancipazione e riducendo tutto a una questione privata e intima. I ruoli sessisti non vengono messi in discussione ma, ne escono rafforzati.

Miserere di Angela Di Maso
con Jacopo Venturiero
regia di Jacopo Bezzi

Un uomo indossa una camicia di forza. Dice di chiamarsi Gesù. Di essere figlio di Maria e di Giuseppe. E di essere Prete. Di essere prete e omosessuale. Di essere prete, omosessuale e pedofilo. Di molestare un ragazzo di 16 anni che prima ci sta e poi lo ricatta chiedendogli i soldi della questua. Allora l'uomo pensa bene di ucciderlo con un'iniezione di aria nella vena del collo.
Quanti pregiudizi, quanti accostamenti surrettizi e indebiti in questo corto. In primis l'incauto accostamento tra omosessualità e pedofilia. L'autrice non sa scegliere tra le due per il suo personaggio prete e lo fa entrambe le cose. L'orientamento sessuale però non ha nulla che fare con la pedofilia che è una malattia mentale. Se poi il prete fa sesso con dei minori di 16 anni, pur meritando il pubblico ludibrio e la galera non può essere tacciato di pedofilia ma di pederastia che è ben altra cosa. Questo personaggio poi prima ancora di essere pedofilo è uno psicopatico assassino  che l'autrice investe di troppi ruoli depistando la realtà dei fatti. Purtroppo infatti ci sono molti pedofili eterosessuali ma nessuno si sognerebbe di presentare un personaggio facendogli dire sono prete sono eterosessuale e sono pedofilo.
La pedofilia purtroppo non è diffusa solo negli ambienti ecclesiastici anzi le statistiche ci dicono che il primo alveo è propri quello familiare... Il personaggio così presentato ha troppe stigme di diversa gravità:  l'attività sessuale (per un prete vietata) la pederastia (spacciata per pedofilia) l'omicidio, dunque la malattia mentale, il disagio psichici. Tutti temi cui l'orientamento sessuale e la vocazione religiosa sono estranei. Il personaggio ci viene presentato così sena spiegazione alcuna sul suo percorso esistenziale dando come verità indiscutibili dei pregiudizi insostenibili chiedendo agli spettatori solo una implicita conferma (che infatti, alla fine, applaudono soddisfatti e contenti).
Forse il peggior monologo dei 13 messi in scena, sicuramente il più censurabile, il meno difendibile.  Peccato per Jacopo Venturiero che è bravo nel recitare il monologo se non fosse che la caratterizzazione del personaggio che interpreta sia del tutto irricevibile.

Tu vs Io di Anita Cherubina Bianchi
con Alessandra Mortelliti, Valentina Ruggeri
regia di Elisa Rocca

Due donne, due facce della stessa medaglia, una (omo)sessualità che emerge prepotente e non sa trovare un confine nella sua dirompenza ma che, al contempo, è tormentata e piena di sensi di colpa. Bellissima regia (e brave entrambi le interpreti) in uno dei corti che anche grazie al testo permette uno sviluppo drammaturgico lontano dalla parola che lascia però troppi discorsi impliciti, imbastisce  troppi non detti per contribuire fattivamente al discorso sul gender (ricordate? E' lo scopo dei 13 corti).


Goooool! di Laura Pacelli
con Federico Brugnone, Vera Dragone
regia di Jacopo Bezzi

Lei è una barbona con un passato di donna maltrattata dal marito che desidera avere un figlio anche se ne ha avuto uno che non è come il padre. Lui (il figlio?) è incarcerato e vessato dalle guardie e degli altri carcerati che lo  picchiano facendolo cadere a terra (morto?). I due monologhi si sviluppano con i personaggi contemporaneamente in scena alternando il loro soliloquio. Drammaturgia interessante ma il testo non esce dall'alveo dei cliché della donna fragile fuori di testa e del figlio perduto.

Cinque piani di Carlotta Corradi
con Gloria Gulino, Nicoletta La Terra, Jacopo Venturiero
regia di Massimo Roberto Beato

Lei e lui si recano al comune per sposarsi. Nell'ascensore sale anche un'altra donna, avvenente. L'ascensore va in panne e i tre si ritrovano chiusi in uno spazio angusto dove lui è irretito dall'avvenenza della terza incomoda e la futura moglie sviene perchè claustrofobica. Nel breve arco di un incontro si confrontano diverse visioni della vita, dell'amore e del matrimonio. Godibile, ben scritto, ben recitato, magistralmente diretto (i tre interpreti riescono a restituire la prossemica ristretta di un ascensore solo con il linguaggio del corpo recitando senza scenografia) ma che, come negli altri casi, non dice nulla di nuovo sulla questione del gender. Ma, a differenza degli altri, nemmeno pretende di farlo, presentandosi per quel che è una godibile, divertente breve commedia.

Alzarsi di Stella Novari
con Alessandra Mortelliti
regia di Jacopo Bezzi

Una novella Marylin apparentemente svampita, in realtà  autoconsapevole, oscilla tra momenti di perplessità e smarrimento e momenti di accettazione per il ruolo che le viene imposto nei suoi rapporti sessual-sentimentali promiscui e orgiastici. Un corto divertito e divertente che trova in Alessandra Mortelliti una interprete ideale e bravissima e che, individua certi nuovi comportamenti sessuali femminili presentandoli con ironia.


AAA Affittasi stanza di Tina Guacci
con Federico Brugnone, Vera Dragone, Dario Iubatti, Valentina Ruggeri
regia di Valentina Rosati

Il frocio e la terrona verrebbe da intitolare questo corto che pesca nei cliché più triti alla ricerca di una comicità ovvia e telefonata. Un ragazzo affitta una stanza a una ragazza di origini  meridionali. Lei crede che lui le guardi il didietro nonostante lui cerchi di avvertirla del suo orientamento sessuale ma lei è troppo sicura di sé per essere convinta altrimenti. Lei è raggiunta da un ex dal quale è in fuga che crede che il suo coinquilino l'abbia concupita prima di capire che sia frocio perchè lui, naturalmente, ci prova con l'ex. Infine giunge nell'appartamento anche la madre del ragazzo che si scopre essere la nuova fiamma della ragazza e il vero motivo delle gelosie dell'ex...
A parte la scarsa plausibilità della vicenda (la ragazza sfuggendo dal fidanzato si rifugia proprio nella casa del figlio della sua fiamma...) quello che infastidisce di questo corto è l'immagine datata del gay descritto come un ragazzo solo, che (come dice apertamente durante un dialogo con le due donne, coinquilina e madre) non cerca né una famiglia né dei figli, caro al cliché del gay vecchio stile, vecchi di almeno vent'anni, mentre oggi, omogenitorialità, matrimoni anche per coppie dello stesso sesso e adozione per coppie omosessuali individuano una aspirazione ben diversa per il gay (e la lesbica)  al centro di un cambiamento internazionale di riconoscimento di nuovi diritti civili che vede l'Italia fanalino di coda. Questo corto invece di ridere con i suoi personaggi ride di loro in maniera sfrontata e superficiale e quando, in conclusione di corto, coinquilina e madre dicono la figlio, all'unisono, sei proprio un frocio il fastidio aumenta sforando l'indignazione.


L'elemento che spicca con maggior rilievo da questo  lavoro a più  mani sono gli attori e le attrici che lo interpretano, tutti  giovani,  che hanno partecipato al progetto avendo vinto (assieme a chi è  stato  chiamato a firmare la regia) un apposito bando dell’Accademia  Nazionale  d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” approdando, dopo due  quadrimestri  (ai quali ha contribuito Laura Novelli) allo spettacolo  proposto al  Belli. 
In generale le donne si distinguono più degli  uomini  (Alessandra Mortellitti è in stato di grazia sia che affronti il  registro  comico sia quello drammatico, così come Vera Dragone e Valentina   Rosati, quest'ultima cimentandosi anche con un paio di regie, senza   trascurare le altre interpreti), ma questo dipende purtroppo dai testi  che presentano personaggi femminili più interessanti di quelli maschili. Alcune delle  regie si  distinguono per l'eleganza e la precisione della direzione  degli attori mentre  altre si limitano a un allestimento sobrio e  impersonale, di  nuovo, dettato dalla natura dei testi messi in scena.

I tredici corti presentati come innovativi nel cercare i cambiamenti contemporanei nelle rapporti di gender (cioè genere sessuale), sono costruiti in realtà sul sessismo più trito: le donne sono sognatrici, petulanti, romantiche, fragili, vittime, oppure si adeguano agli standard maschili di promiscuità sessuale non per emulazione o autoemancipazione ma sempre per motivi biografici che giustificano l'anomalia (e confermano dunque  i ruoli di sempre).
I corti confondono poi gender con orientamento sessuale, presentando personaggi gay  e lesbici e non personaggi trans, gli unici a costituire una rottura con gli schemi tradizionali di identità di genere (con cui l'omosessualità non ha nulla a che fare). Se da un lato li si è forse investiti di una vocazione all'analisi dei rapporti di genere sessuati che in realtà non li riguarda troppo da vicino dall'altro questi corti sono sintomatici dell'immaginario collettivo italiano contemporaneo (nel quale gli uomini restano defilati in ruoli secondari e le donne sono al centro dell'azione) che sembra rifarsi a certe semplificazioni televisive (le commedie di consumo più immediato: AAA Affitasi stanza e Cinque piani) o a certe curiosità morbose per gli aspetti più triti della cronaca nera (MiserereSunday) offrendo davvero poco spazio alla riflessione, anche nell'ambito di una scrittura veloce come quella del corto.
Tredici corti che si distinguono per l'incapacità a sottrarsi al gioco dei ruoli sessisti del maschile e femminile, che rimangono essenzialmente quelli degli anni cinquanta, con pochissime eccezioni (Tu vs io, Alzarsi) il cui massimo sforzo si concentra su ammodernamenti superficiali  e circostanziali (Catalogo in Rete, Il cappotto) ma mai sostanziali, con punte di malcelata omofobia (Miserere, AAA affittasi stanza) e irriducibile maschilismo (Sangue di Cagna, Guardami Papà) mentre solo raramente riescono a dare voce a personaggi veri, che in qualche modo emergono dal cliché (Le stelle di Giulietta) e diventano persone.
Un vero peccato perchè le attrici e gli attori, i  registi e le registe, meritavano davvero dei testi degni del loro  talento.