Attraverso un percorso terapeutico, ricco di battute acute e scoppiettanti, Piero Nuti e Miriam Mesturino affrontano grandi temi esistenziali, il mistero della creazione e della vita umana.
Cosa succederebbe se un giorno il Padreterno in persona decidesse di scendere sulla Terra per andare in analisi? Lo sa solo Dio, ma quando questa improbabile eventualità accade sul palcoscenico, allora il risultato è una commedia sagace, che affronta temi importanti e profondi con ironia, nella migliore tradizione dell’umorismo yiddish.
Oh, Dio mio è un testo ironico e surreale, scritto da Anat Gov, una delle più conosciute drammaturghe israeliane: la psicologa Ella (Miriam Mesturino), madre single di un ragazzino autistico, Lior (Gabriele Racca) riceve uno strambo paziente, che afferma di essere Dio. La donna inizialmente è perplessa, anche perché con Lui non è mai stata in buoni rapporti – (ma forse è proprio questo il motivo per cui il Padreterno si è rivolto a lei; ma, in pochi minuti, realizza di trovarsi veramente di fronte a un Dio depresso da (almeno) 2000 anni, un’entità fragile che sta meditando di spazzare il mondo con un nuovo diluvio universale.
Un’interpretazione divina
In una tale condizione di malessere, il Padreterno non è neanche più in grado di compiere miracoli, ma solo di interpretare una parte, affidata alla matura esperienza di Piero Nuti, artista che, superata la tenera soglia delle nove decadi, ancora sorprende per la naturalezza del suo ingresso in palcoscenico e per il mordente complessivo di questa sagace prova d’attore.
Attraverso un percorso terapeutico, ricco di battute acute e scoppiettanti, Piero Nuti e Miriam Mesturino affrontano grandi temi esistenziali, il mistero della creazione e della vita umana, facendo emergere brillantemente i punti di vista contrapposti dei due protagonisti: quello di Dio, che con la creazione di Adamo e di tutto il genere ha visto la progressiva rovina della propria opera di creazione, e quello dell’uomo, schiacciato da un Dio crudele e deluso dalla mancanza di lealtà di quello che doveva essere il suo capolavoro.
Diverte e commuove vedere come i due attori si sostengano reciprocamente sulla scena, indirizzati dall’attenta e delicata regia di Girolamo Angione, verso un finale carico di ottimismo e speranza per il futuro.
Pioggia salvifica
Tutto quello che serviva a Dio, al termine di un’ora di analisi, altro non era che la sensazione umana di un caloroso abbraccio Ed ecco accadere il “piccolo miracolo”: cade la tanto aspettata pioggia salvifica – accompagnata in teatro dalle note di un violoncello che suona una toccante versione strumentale di Hallelujah, di Leonard Cohen – e la presenza dell’acqua rende il giovane Lior in grado di pronunciare per la prima volta la parola “mamma”.