Nel bicentenario della morte di Heinrich von Kleist, Frank Radug della Theaterschule für Körper und Bildung di Francoforte sull'Oder, cittadina natale di Kleist (da non confondere con la più famosa e grande Francoforte sul Meno) ha pensato di omaggiare lo scrittore e drammaturgo che ha dato alla città il titolo di Klesitstadt con uno spettacolo ispirato al suo celebre racconto La marchesa di O..
La Marchesa pubblica sulla gazzetta locale un annuncio nel quale si dichiara inspiegabilmente incita e invita il padre del suo bambino a presentarsi per sposarlo.
Il racconto è un lungo flashback sui fatti che l'hanno portata a pubblicare l'annuncio. La guerra con i Prussiani (la vicenda si svolge nel nord d'Italia, Kleist lascia ignoti nomi di città e casate citandone solo la lettera iniziale) il tentato stupro ai danni della Marchesa da parte di tre soldati. Il salvataggio di un giovane e nobile conte e la sua successiva improvvisa e insistente richiesta di sposarla. La scoperta dello stato interessante della Marchesa che giura di non aver avuto rapporto sessuale alcuno che, naturalmente non creduta, viene cacciata di casa, fino all'inserzione e alla scoperta che il padre del bambino è proprio il conte, che aveva invano cercato di sposarla...
Lo spettacolo è stato allestito in gemellaggio con l'Accademia Teatrale Europea di Roma diretta da Maria Giovanna Rosati Hansen, in uno scambio di allievi da Roma a Francoforte sull'Oder e viceversa cominciato lo scorso anno (ma la collaborazione è di più vecchia data...) e che ha portato a un primo allestimento lo scorso settembre nella cittadina tedesca. Un gemellaggio voluto e fatto in nome della pace (Giovani Attori Europei per la Pace) in un ambito meno retorico e più fattivo di tante giornate della memoria.
Lo scambio di allievi è avvenuto all'interno di un progetto didattico-accademico comune che ha permesso ai giovani diplomandi di effettuare una ricerca sul campo cimentandosi con la scuola teatrale (e la lingua) di un altro paese.
Il risultato è felicissimo e notevole.
L'approccio di Frank Radug al teatro è quello più sincero e intellettualmente onesto del teatro povero di grotoskiana discendenza. Un teatro incentrato sull'attore come performer totale, nel corpo e nella voce, nella recitazione e nella fisicità, capace di cantare, esprimersi, grazie all'intensità fisica del proprio corpo mentre danza, si muove, suona strumenti (o trasforma oggetti di scena in strumenti musicali) dove ognuno interpreta più ruoli non solo nella singola replica ma anche tra una replica e l'altra: i vari ruoli sono infatti distribuiti a rotazione in una democratizzazione della regia che non vede primi attori ma dove tutti si alternano secondo le proprie possibilità e maturità di allievi (diplomandi).
Il bilinguismo dello spettacolo (gli attori italiani recitano in italiano e quelli tedeschi in tedesco) permette ad allievi e regista confronti e sincretismi interessanti tra ninnananne e canzoni che segnano i momenti salienti della storia raccontata (una per tutte la nostrana pazza idea di Patty Pravo, quando il conte distende la marchesa in terra subito dopo averla salvata dai soldati).
Pochi elementi di scena hanno diverse funzioni: dai pali che simboleggiano l'esercito e vengono usati per dare il ritmo (e che saranno usati per fucilare i soldati stupratori) ai dei teli che fungono ora da scenografia ora da velo da sposa, alle valige sulle quali sono disegnate col gesso le sagome de due bambini che la Marchesa, vedova, ha avuto dal primo marito, mentre dei cigni disegnati sempre col gesso alludono a una allucinazione-ricordo del conte (presente nel racconto ma non direttamente nello spettacolo) quando, febbricitante e creduto morto, pensava alla Marchesa.
La messinscena è segnata da una pan sessualità, assente nella novella di Kleist, che la regia sottolinea in maniera discreta ma decisa, soprattutto in apertura quando tutti i personaggi sono in scena mentre la marchesa si lava viso e braccia i ragazzi eccitati dalla vita e dal sesso cercano una partner e un giovane ragazzo (interpretato dallo stesso attore che impersonerà uno dei soldati stupratori), rimasto spaiato, si dedica all'onanismo apprezzando la bellezza della giovane.
Una sessualità che condurrà il Conte di F. ad approfittare della Marchesa, appena svenuta, subito dopo il salvataggio, cosa che lo spettacolo, a differenza della novella, presenta come dato di fatto accennando all'atto anche tramite un fazzoletto (lo stesso usato prima dal ragazzo per pulirsi e che ritorna anche nel finale) in un rimando continuo tra gesti e dettagli scenici che non sempre vanno in sincrono con le parole, nel senso che i primi e le seconde forniscono indizi separati allo spettatore. Questo effetto è amplificato dal bilinguismo dello spettacolo: le parti recitate in tedesco infatti non sono tradotte completamente per gli spettatori italiani che non comprendono la lingua, solo quelle essenziali vengono ripetute da due dame agli angoli del palcoscenico, secondo una prassi che ricorda quella del cinema muto. Così la lingua straniera diventa occasione per una comunicazione empatica, data solo dalla espressività cromatica (dall'intensità) con cui gli attori e le attrici recitano, in una verifica puntuale e sorprendente di quanto spesso, anche senza conoscere la lingua, in presenza di un bravo attore si comprende comunque il senso e l'intenzione di quel che il personaggio dice.
L'impostazione drammaturgica di Radug si distingue dalle intenzioni narrative di Kleist.
Nel drammaturgo lo scontro tra morale borghese e istinti umani, uno dei suoi temi ricorrenti, è rappresentata tramite un racconto raffinato attento alle psicologie dei personaggi, facendo della Marchesa sì una vittima del patriarcato ma tutt'altro che supina mentre il motivo per cui la madre si lascia convincere dal marito a cacciare la figlia di casa è perchè crede che la ragazza menta circa la presunta immacolatezza del concepimento (mentre dal punto di vista della giovane è vero visto che il conte si è approfittato di lei mentre era svenuta). Nella sua messinscena Radug riduce questi elementi all'essenziale, facendo dello scandalo direttamente la gravidanza, e mostrando una Marchesa innamorata del conte quando questi la va trovare nella villa dove lei si è rifugiata in seguito alla cacciata di casa (lo abbraccia, ci balla) riportata alla ragione (borghese) dalla domestica. In Kleist invece la Marchesa rifiuta la proposta di matrimonio del conte trovando sconveniente che lui la sposi pur sapendola incinta di un altro senza tradire minimamente dell'affetto per lui. Una esemplificazione romantica in linea con una regia sanguigna tutta incentrata sulla dirompenza degli istinti che vincono qualunque divieto borghese per cui si perdonano alcune semplificazioni del testo come quella, qui sviluppata in chiave comica, della trappola che la madre imbastisce contro la figlia per verificarne la sincerità dicendole che l'uomo presentatosi come padre è un loro servitore (qui descritto come ragazzotto belloccio e un po' tonto). Forse l'unica semplificazione che tradisce troppo il testo è quella che vede la madre della Marchesa imporsi sul marito, padre della giovane, secondo la vulgata che vuole i mariti succubi delle mogli, ben diversamente dal testo originale.
Ma queste considerazioni riguardano più i rapporti tra spettacolo e testo e non la regia o l'esecuzione degli attori davvero notevoli. Una regia attenta alla recitazione senza le parole come nel finale quando, dopo il matrimonio riparatore formale, senza che conte e Marchesa vivano sotto lo stesso tetto, all'uomo è di farle la corte (in un momento di pura pantomima eseguito alla perfezione).
Non tutti gli attori hanno la stessa intensità o sono allo stesso livello di maturità artistica (com'è normale che sia) e tranne qualche rara eccezione, le donne sembrano più in possesso dell'arte scenica rispetto ai ragazzi che, diplomandi, avranno tutto il tempo di migliorare, d'altronde, si sa, le donne maturano prima.
Lungi dall'essere un saggio abbozzato dagli allievi di due scuole di teatro questo Omaggio a Kleist ha la fisionomia e la qualità di uno spettacolo compiuto, serio e professionale, godibile sotto ogni suo aspetto.
Uno spettacolo che meriterebbe ben più ampio numero di repliche di quelle che le due scuole possono permettersi con le proprie forze (visto che le trasferte costano) e che uno Statao attento alla cultura dovrebbe sostenere con sollecitudine (visti gli ottimi risultati) ma la cultura purtroppo non è di casa nelle sedi istituzionali del nostro Paese. Lo è invece nelle nostre scuole di teatro le quali, nonostante i tagli e l'indifferenza politica, trovano ancora l'entusiasmo e il modo di confrontarsi con altre esperienze europee in uno scambio proficuo e tutt'altro che fittizio.