Prosa
OPERA COMIQUE

Fabriano (AN), teatro Gentile…

Fabriano (AN), teatro Gentile…
Fabriano (AN), teatro Gentile, “Opéra comique” di Nicola Fano da un'idea di Antonio Calenda SE APRI UNO SPIRAGLIO SU UN SOGNO, C'E' SEMPRE QUALCUNO CHE TI SBATTE LA PORTA IN FACCIA Per un lunghissimo tempo tra Guglielmo Tell (1829) e la sua morte (1865), Gioachino Rossini non scrive opere e vive a Parigi, creando e alimentando un mito, il mito del silenzio, un mito senza pari. Tutti, cantanti, pubblico, impresari, vivono nella spasmodica attesa della “nuova opera” di Rossini, un ossessione, un delirio collettivo che travalica i confini della musica e dei melomani. Da questa premessa muove Opéra comique, lavoro a metà strada tra commedia e opera lirica, composta di due atti ben distinti quanto all'andamento: il primo è più incline alla commedia, con punte di comicità pura e siparietti musicali allegri con rimandi alle pagine rossiniane; il secondo è più vicino al melodramma, con la rappresentazione di un soggetto tratto da I promessi sposi in francese e italiano, inframezzato da interventi dei protagonisti, tra il divertimento e la malinconia, sempre nel segno della misura e della poesia. La scrittura di Nicola Fano, tratta da un'idea di Antonio Calenda, disegna una serie di tipologie, senza scadere mai nel banale: il compositore al verde che crede di avere trovato in continuazione la giusta sinfonia ma con note conosciutissime di Rossini, la confusione della realtà napoletana, i pupi siciliani, l'anziano isolano attaccato alle tradizioni religiose della propria terra di origine, l'impresario teatrale privo di scrupoli, l'italiano furbo che si fa strada all'estero, l'italiano che si crede furbo e poi invece all'estero viene fregato, il genio musicale italiano espatriato. La musiche di Germano Mazzocchetti evocano Rossini e la commedia dell'arte, nella seconda parte l'uso degli stilemi rossiniani è palese ma i caratteri musicali del pesarese sono usati come parodia, un gioco, insomma, ma con amore e rispetto per l'originale. La scena di Bruno Buonincontri è concepita come uno scrigno: chiuso evoca il paesaggio urbano napoletano, aperto (a mano, come le macchine teatrali di un tempo) è la cucina di casa Rossini. I costumi di Elena Mannini situano l'opera nell'Ottocento e denotano grande creatività: bianco e nero per le scene napoletane, i colori del mondo parigino, la mescolanza fantasiosa quasi da trovarobato casereccio per i servitori (soprattutto nella pantomima, con accessori rimediati dalla cucina: l'aureola di Lucia fatta con le forchette, i cappellini di scopette, la barba di fra Cristoforo di paglia e così via). Le luci di Nino Napoletano creano suggestioni su tonalità diverse per le diverse ore del giorno. La regia di Calenda è abile nel mischiare tutto con originalità e senso della misura, mantenendo alto il livello di ogni singola componente e facendo della tecnica della risata da avanspettacolo un punto di forza dell'allestimento, con agganci alla commedia dell'arte. Il vero protagonista, Gioachino Rossini, è presente dall'inizio ma senza mai rivelarsi. Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina sono straordinari nel tratteggiare i due musicisti-pasticceri siciliani, pasticcioni e teneri, inviati dall'impresario del San Carlo a Parigi in casa Rossini come cuochi ma con il compito di appropriarsi dell'agognata partitura. Con loro un nutrito cast di giovani attori, cantanti, musicisti. Pubblico molto divertito, nonostante i troppi posti vuoti per la serata inaugurale della bella stagione fabrianese, soprattutto per uno spettacolo che merita: la chiave del successo è nell'alternanza tra momenti esilaranti, spesso basati su giochi di parole efficacissimi, e momenti di tenerezza, sintetizzati da una battuta di Basilio: “uno apre uno spiraglio su un sogno e c'è sempre qualcuno che ti sbatte la porta in faccia”. Visto a Fabriano (AN), teatro Gentile, il 23 ottobre 2007 Francesco Rapaccioni
Visto il
al Sperimentale di Ancona (AN)