Il Teatro Bellini ospita, fino a domenica 29 marzo, lo spettacolo Orchidee, di, con e per la regia di Pippo Delbono. Un lavoro in cui, come in altri precedenti dell’autore ligure, si ritrova il tentativo di fermare il tempo vissuto per un attimo e su di esso riflettere, in fondo per ricercare il sé ormai rapito, forse per sempre, nella contemporaneità. Su questa riflessione, con cui l’autore accompagna le note di regia, si sviluppa, in modo oltremodo disarticolato, farraginoso e prolisso, lo spettacolo messo in scena.
Ricco di sarcasmo, è lo stesso Delbono, al pari del capitano di una capsula spaziale in gita tra i ricordi (seduto ad un tavolino posto in ultima fila di platea), ad accompagnare lo spettatore: narrando, commentando ed interagendo con essi. Si giunge così alla scoperta di quadri compositivi, che riempiono di immagini, azioni, parole, un palcoscenico, inizialmente vuoto e nero come una lavagna.
Delbono parla d’amore: per gli ideali, in parte smarriti in parte disconosciti, in cui un tempo ha creduto; per la madre, odiata nel naturale contrasto generazionale, ritrovata in età adulta ed amata fino all’ultimo respiro; per i più deboli, da tutti, nostro malgrado, lasciati ai margini dell’esistenza.
Un viaggio nato idealmente nella poesia, legata alla personale sensibilità artistica dall’autore e che ben presto si trasforma nella visione notturna di una infinita serie di diapositive di una vita (la sua, la nostra … che importa!) sfuocate e sovraesposte in cui è intellettualisticamente facile trovare un’eccelsa autorialità ed un immenso valore estetico.
In sintesi, il lavoro di Delbono ricorda il racconto di Gianni Rodari, L’eclisse. Il primitivismo espressivo (nella veste video, coreografica e mimica), seppur riccamente tornito di gustosi lacerti di Shakespeare, Checov, Kerouac (solo per citarne alcuni) ed accompagnato da sentimentalismi a tratti voyeuristici (le carezze alle mani martoriate dalle flebo della madre morente), può facilmente indurre a credere di avere assistito ad un’opera dalla talentuoso unicità espressiva ma che nella sua essenza (così come il sole nero, che la bambina del succitato racconto disegna destando l’interesse interpretativo del padre e dei medici, è solo un’eclissi infantilmente ritratta) non mente sulla sua vera natura: uno spettacolo in abbonamento con sotto, scritto in piccolo, “Orchidee”.