Prosa
ORESTEA: AGAMENNONE - COEFORE/EUMENIDI

Le radici della vendetta e della giustizia

Le radici della vendetta e della giustizia

Un tappeto di porpora e sangue si illumina sotto i piedi di uomini che sono al tempo stesso carnefici e vittime sacrificali; una porta, quella della reggia di Argo, è sigillata su antichi delitti e si schiude su video che prospettano orizzonti  espressivi contemporanei. La titanica sontuosità che Luca De Fusco imprime all’Orestea, unica trilogia che ci è giunta integralmente e che lo Stabile di Genova ha scelto di rappresentare alla Corte in unica serata dal 19 al 24 gennaio, non distoglie dalle inquietanti domande che Eschilo rivolge agli spettatori di oggi così come a quelli dell’antica Grecia. Il conflitto tra vendetta e giustizia, per meglio dire il passaggio da un’interpretazione arcaica a una regolamentata dalla legge, la consapevolezza che l’uomo può maturare una vera conoscenza ed esperienza della vita soltanto attraverso il dolore sono "il filo d’Arianna" di questo spettacolo. E certamente è più facile seguirlo vedendo Agamennone, Coefore ed Eumenidi come atti  separati da intervallo, nella stessa serata, piuttosto che come puntate diluite nel tempo. Ci vuole coraggio per fare questa scelta, che richiede al pubblico un impegno di quattro ore: ma ha un senso culturale autentico e ne vale la pena. 

Clitemnestra che prepara con Egisto un letto di morte per Agamennone - tornato vincitore dalla guerra di Troia - il matricidio di Oreste, la sua persecuzione da parte delle Erinni e infine la pacificazione di fronte all’Areopago, il tribunale della polis, per una messa in scena come questa non richiedono uno sfondo neutro. Del resto una certa filosofia di teatro minimal-penitenziale, amata da molti,  non appartiene al regista, che può permettersi una scelta opposta anche grazie alla  scenografia di Maurizio Balò, illuminata da Gigi Saccomandi. Piacerebbe a S. Kubrick, perché, su una colata di terra lavica, proietta, anche attraverso il filtro dei nostri media, un’idea di futuro: quella stessa  con cui si apre 2001: Odissea nello spazio.  E  pazienza se nelle coreografie di Noa Wertheim e nelle musiche di Ran Bagno non tutto tiene il passo con questa emozione.

La traduzione di Monica Centanni  invece, anche se filologicamente infedele, non ha mai cedimenti di intensità e poesia: musica per la vocalità diversamente ammaliante di due interpeti superbe.

Elisabetta Pozzi è una Clitemnestra che racchiude in un grumo di passione implosa l’amore materno, il rancore,  la gelosia, la capacità frustrata di governare; Gaia Aprea si sdoppia nella parte di una dolente Cassandra e  - forse ancor più nelle sue corde - di una perfetta, lucida, razionale Atena. Senza nulla togliere all’Agamennone “crepuscolare” di Mariano Rigillo, all'Oreste di Giacinto Palmarini, all’Egisto di Paolo Serra, protagoniste di questa Orestea sono le donne. Si tratta di una “modernità” che, sia Elisabetta Pozzi, sia Gaia Aprea gestiscono - e qui sta il difficile - senza rinunciare alla sacralità e all’aura aulica, senza banalizzazioni colloquiali.

Visto il 19-01-2016
al Ivo Chiesa di Genova (GE)