ORLANDO FURIOSO

Le donne, i cavalier, l'arme e gli amori: “Orlando furioso” di Vivaldi torna a Venezia

Orlando furioso
Orlando furioso © Michele Crosera

Strano a dirsi, ma il melodramma di Antonio Vivaldi oggi forse più eseguito, quell'Orlando furioso apparso nel 1727 al Teatro di Sant'Angelo, mai più s'era visto a Venezia, città che ospita proprio quell'Istituto di Studi Vivaldiani che sta pubblicando in edizione critica l'opera omnia del Prete Rosso. Vero è che il suo prezioso repertorio operistico è solo da qualche decennio oggetto di una riscoperta iniziata quarant'anni fa, proprio con la prima incisione dell'Orlando dove Scimone dirigeva un cast stellare. Era ben ora che tornasse a casa.

Dalla Puglia con furore

L'occasione viene dalla coproduzione Fondazione La Fenice/ Festival di Martina Franca, dove questo allestimento aprì l'edizione 2017. Il dimezzamento del palcoscenico – poiché ora siamo al Teatro Malibran – ha ridimensionato le suggestive e barocche scenografie di Massimo Cecchetto, e comportato qualche sacrificio alle coreografie della Fattoria Vittadini; tuttavia l'incantevole spettacolo del regista Fabio Ceresa (riallestito qui da Riccardo Olivier), mantiene intatta tutta la sua godibilità.

Spettacolo in felice equilibrio tra l'epico e l'immaginifico, chiaramente ispirato a quanto il pubblico dei teatri d'allora richiedeva: vale a dire stupore e meraviglia, attraverso fantasiose trovate visive e costumi sfarzosi e variegati. Reinventati in questo caso da Giuseppe Palella, e sfavillanti di lustrini dal curioso effetto glitter.



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Tripudio di sonorità e di belcanto

L'ariostesco Orlando furioso non è forse il capolavoro di Vivaldi – daremmo la palma al coevo Farnace – ma è pur sempre partitura sostenuta da un libretto fantasioso, e di per sé fastosa, ardita, satura di invenzioni. E con dentro alcuni fra i più bei momenti del cosmo vivaldiano, oscillanti tra trepidanti malinconie e travolgenti dinamismi. Sempre vigilissimo nei confronti dei cantanti, concerta con maestria e sanguigna passione di nuovo Diego Fasolis. Stavolta però i suoi Barocchisti son sostituiti dall'Orchestra della Fenice: essenziale quindi un forte impegno comune al fine d'ottenere pertinenza di stile e conveniente lievità.

I risultati si vedono: suoni pieni, nitore timbrico, grande varietà di tinte ed osservanza stilistica adeguata. Costretto a dolorosi tagli Fasolis ha tolto un'aria ad ogni cantante, giungendo comunque ad un insieme equilibrato. La filologia piange, ma d'altronde una integrale richiederebbe quattro, cinque ore: un po' troppe per oggidì.

Le due protagoniste – Sonia Prina (Orlando), e Lucia Cirillo (Alcina) non temono confronti per espressività scenica, varietà d'accenti, linea di canto granitica, pirotecnico virtuosismo. Due garanzie assolute. Non è da meno Francesca Aspromonte, Angelica acrobatica, pungente, dal timbro di sontuoso velluto. Intorno a loro, una festa di canto: il controtenore Carlo Vistoli delinea un Ruggiero di potente intensità, tecnicamente sempre inquadrato; il suo collega Raffaele Pe restituisce un buon Medoro, il mezzosoprano Loriana Castellano una Bradamante raffinata e volitiva, il baritono Riccardo Novaro un colorito e saldo Astolfo.

Visto il 17-04-2018
al Malibran di Venezia (VE)