Bologna, teatro Comunale, «Orphée et Eurydice» di C.W. Gluck
QUANDO AMORE DIVENTA UN BECCHINO
Nel rappresentare un’opera barocca o del tardo barocco in questi ultimi anni è invalsa l'abitudine (non più nuova oramai) di trasportare il soggetto in epoca contemporanea e trasformare completamente la poesia che emana una musica scritta per determinate parole al fine di rappresentare determinati sentimenti. A volte l'operazione riesce con un successo inaspettato, a volte invece risulta essere il contrario.
David Alagna col fratello Frèdérico ha “tentato” di mettere in scena al Comunale l’Orphée et Eurydice di Gluck in quest’ottica ma riuscendovi solo in parte. Nonostante il tocco raffinato nella regia e nelle scene, lo stravolgimento dell’opera originaria e il senso che Alagna ha voluto dare l’ha trasformata in una macabra sfilata di bare, tutt’altra cosa rispetto alle intenzioni di Gluck, quando la rappresentò per la prima volta a Parigi nel 1774: una gioiosa rappresentazione di un mito che pur nella tristezza della perdita di una persona amata vince la morte con l’amore e la speranza. Qua sta il tarlo di questa odierna rappresentazione: la presunzione del regista di sovrapporsi al sommo Gluck, dichiarandolo obsoleto, incomprensibile e inadatto al pubblico moderno, tanto da reinventare un nuovo Orphée et Eurydice, con tagli, nuove partiture ed un nuovo finale. Il motto di David Alagna è “reinventare l’opera”, ma risulta come se volessimo cambiare la pettinatura della Gioconda perché non più alla moda. Se non si fosse partiti da questi presupposti la regia, nonostante tutto, appariva dignitosa, seppur a volte scadente nel macabro.
Il bellissimo prologo musicale viene ambientato in una festa danzante per le nozze dei due protagonisti, ma il battere dei piedi dei festaioli disturba enormemente la poesia della struggente musica. Poi Eurydice muore in un incidente d’auto, logicamente, visto che nel XX secolo è più facile morire per l’alta velocità che non per il morso di un serpente. Il primo atto è ambientato in un cimitero molto realistico, dove si svolge un funerale di prima classe, dando l’addio alla protagonista in un clima di tristezza e disperazione. Il secondo atto, poi, si svolge in una camera mortuaria, fredda e in stile hi-tech, in cui becchini stile Blues Brothers sono guidati da un impresario di pompe funebri che qui prende il posto del tradizionale e leggiadro Amore. Orphèe, guidato dal lugubre energumeno, scende in un Ade che è una cella frigorifera con cadaveri penzolanti e surgelati. Finalmente ritrova la sua amata, ma si ritrova anche cornuto, perché la capricciosa (?!?) Eurydice, stizzita dal fatto che lui non vuole guardarla, cerca di attirarne l’attenzione seducendo grossolanamente la Guida/impresario delle pompe funebri, concedendosi sull’onnipresente carro funebre. Cambiamento di finale: Gluck voleva il lieto fine, essendo inconcepibile per l’epoca un termine tragico in una fiaba mitologica, che avrebbe intristito la poesia amorosa. Poiché viviamo in un’epoca dove c’è poco da stare allegri, gli Alagna hanno pensato ad un bel finale tragico: Orphée sprofonda nella tomba con l’amata ri-morta per sempre.
Un continuo abuso di tagli, rifacimenti, ricostruzioni: a che pro? L’iperealismo di bare, tombe e macchine funebri, che ha creato inquietudine tra gli spettatori, non sarebbe bastato a dare un piglio “moderno” all’opera gluckiana? Quello che ha più infastidito sono state le manomissioni della partitura: il prologo brutalmente accorciato a metà, molti numeri musicali arbitrariamente sovvertiti rispetto all’ordine definito dall’autore e piazzati a commentare una situazione del tutto diversa, ed infine, ma non solo, il cambio di finale. Il tutto non supportato da un'idea registica forte e convincente.
Inadeguato il tenore Roberto Alagna (fratello del regista e dello scenografo) in una parte vocale non sua (pur non menzionando le “stecche”); il ruolo di Orphèe è stato scritto per castrato ed è sempre stato interpretato da un soprano en travesti, perciò il timbro di Alagna era veramente poco adatto, anche se la partitura era stata riscritta ad hoc per lui. Meglio l’Eurydice di Serena Gamberoni, come Marc Barrad nel ruolo che sarebbe dovuto essere di Amore ma che è stato trasformato in un becchino.
Stanca l’orchestra sotto la pesante direzione di Gian Paolo Bisanti per la prima volta al Comunale.
La rappresentazione è stata brutalmente fischiata dal pubblico, che ha più volte riso e gridato a scena aperta in segno di scherno e disgusto.
Visto a Bologna, teatro Comunale, il 16 gennaio 2008
Mirko Bertolini
Visto il
al
Comunale - Sala Bibiena
di Bologna
(BO)