Acclamato dalla critica, pubblicato da Einaudi, Vitaliano Trevisan nel 2006 scrive per il teatro questo monologo nel quale dipana il racconto, prima calmo e poi sempre più concitato, di un uomo sposato, separato, padre suo malgrado che, da quando ha lasciato la moglie che non ha voluto abortire, vive da solo concedendosi solamente sesso mercenario, ogni venerdì e ogni primo mercoledì del mese, sempre con una prostituta diversa, altrimenti si abituano.
Un racconto ben congeniato nel quale le considerazioni della voce monologante costruiscono un personaggio sempre più complesso e dalle considerazioni del quale nasce un racconto che, partito da un grumo di solitudine si espande verso una incapacità esistenziale nella quale il protagonista soffoca ma alla quale non sa rinunciare quasi che il rifiuto della paternità e di un rapporto con la donna siano l'unica cifra della sua identità e autonomia. Pensato per un protagonista non più giovanissimo, oltre i quaranta, il cui scarto tra l'età anagrafica e l'effettiva maturità psicologica contribuisce al malessere della storia raccontata, il monologo cresce e deborda nella maniacale preoccupazione che i figli uccidano il padre con tanto di articoli di giornale collezionati dove uomini, poco importa se figli o padri uccidono mogli e madri figli e padri e anche animali domestici (da lui aborriti come ogni forma di compagnia) per giungere all'epilogo, suggerito ma non raccontato, che vede il protagonista incartare nella scatola che contiene il regalo per il figlio anche alcune delle armi usate dai parricidi cui ha raccolto articoli di giornali.
Oscillazioni tradisce forse un po' le origini letterarie del suo autore, che ha composto un testo che più che recitato va letto, che più che messo in scena viene detto (così infatti ha fatto il suo autore che firma una messa in scena per voce recitante e contrabbasso).
Valerio Vittorio Garafa invece fa di Oscillazioni un monologo a tutti gli effetti, agito e non detto, lasciando la maggior parte del compito al suo interprete, mentre la regia si limita a un timido intervento musicale verso l'epilogo e al coup de théâtre di scoprire una parete ricoperta da ritagli di giornale, al'inizio celata da un telo.
La scelta dell'interprete è davvero indovinata. Riccardo Bocci è molto più giovane del personaggio che deve interpretare e il completo borghese che indossa e i baffi che servono a farlo apparire meno imberbe invece di diminuire accentuano lo scarto tra l'età anagrafica dell'interprete e quella del personaggio. Uno scarto che contribuisce alla riuscita dell'interpretazione del personaggio: quale migliore viatico per sottolineare una maturità psicologica che non è mai arrivata a differenza di quella anagrafica di usare un attore giovane se questi è capace di essere credibile come persona adulta? Bocci riesce in pieno nell'intento e si muove, agisce, parla come un uomo maturo e la giovanezza che traspare non è più quella dell'attore ma quella del personaggio. Un personaggio i cui occhi allucinati, i cui gesti mentre illustra al pubblico le caratteristiche delle armi che tira fuori dai posti più imprevedibili (un'ansa nel muro, un nascondiglio sotto il tavolo) insinuano nello spettatore un'ansia genuina e un'inquietudine che rimangono anche dopo che il monologo è finito.
Una messa in scena accurata e precisa e un'esecuzione ricca e generosa. Uno spettacolo da non perdere. Si replica oggi e domani.
Prosa
OSCILLAZIONI
Buona prova d'attore per Riccardo Bocci
Visto il
30-04-2010
al
Piccolo Re di Roma
di Roma
(RM)