L’ Otello di Arturo Cirillo in scena al Teatro Verdi di Padova fino al 6 Febbraio forse non ha mai trovato luogo più adatto in due anni di rappresentazione. Se è vero che tutto della tragedia shakespeariana messa, anzi, ricostruita in scena da Cirillo non fa altro che demolire tutto ciò che di umano è fisico, tangibile e “causa efficiente” in senso stretto, la Padova dei primi giorni di Febbraio le fa di certo buon gioco. Il buio, nebbioso e raggelato, altro non è se non quel vuoto indefinito necessario a far riemergere il tutto della mente, del logos in quanto pensiero, parola e verità ultima dell’uomo, tanto da rendersi artefice ed eroe tragico della sua stessa negazione. Avvicinandosi al palco quel vuoto cittadino comincia ad articolarsi e in scena appaiono due grandi pareti, le uniche, accanto ad un letto a rotelle, in grado di sostenere la pesantezza della ragione che si umilia ad intervenire su di essi per mezzo dei soli corpi degli attori. Le scene di Dario Gessati sono essenzialmente buie, non avrebbero nulla in verità da far vedere, da svelare: il loro senso ultimo sta quindi nel manifestarsi il meno possibile come enti, o meglio, elementi attivi in scena. In questo senso la loro completa dipendenza dal fare di ogni singola “mente” in scena è rivelatrice.
Quanto detto quindi, come tutto quel che c’è di fisico in scena altro non è che mezzo di un’epifania necessaria al pubblico, non alla tragedia, e che nega il suo mezzo proprio nell' impiegarlo: così il viso di Otello, nero a metà, o le maschere che cadono con l’infittirsi della parola e del pensiero.
Quel che conta infine è ritmo e voce, tempo e modo dell’evolversi dell’animo umano, del suo sdoppiarsi non a causa di Qualcosa che agisce su di esso ma proprio per il fatto di essere fin da subito, potenzialmente e infinitamente, molteplice: il viso di Otello è dipinto a metà fin dall’inizio; le maschere impediscono a qualsiasi tipo di fisicità di determinarsi come unità: quelle cadono e determinano i veri volti solo quando comincia a rivelarsi il pensiero.
L’Otello di Padova intensifica l’atmosfera di una Città in un palcoscenico, per renderla serva di un’opera d’arte che rivela (ovvero svela velando d’atti) la verità dell’uomo.