Il tema del Festival 2016 è Mediterraneo e poche altre opere declinano meglio il tema del verdiano Otello. Strettamente legati all'argomento anche il numero dei programmi di sala stampati, corrispondente al numero delle vittime del Mare Nostrum dall'inizio dell'anno, e la raccolta fondi per Medici senza Frontiere, associazione da decenni efficacemente e coraggiosamente impegnata in territori stravolti da guerre e altro, con l'hashtag #milionidipassi “dalla parte di chi fugge da guerre, violenze e povertà”.
Il nuovo allestimento è una coproduzione con il Festival del Castello di Peralada in Spagna, dove ha debuttato lo scorso anno vincendo l'importante premio Campoamor. Paco Azorìn si occupa di regia e scene e utilizza il muro dello Sferisterio per proiezioni e giochi di ombre. La scena, praticamente fissa, si basa su tre moduli a lato trapezoidale uguali ma di diverse misure che possono essere anche utilizzati in sequenza e le cui ombre spigolose sul muro di mattoni sono assai efficaci. A ciò si aggiunge un grande leone di San Marco e attrezzeria di scena funzionale al racconto: un tavolo, il letto, alcune sedie. La narrazione è chiara e comprensibile, come il sottile strisciare del male impersonato da sei mimi che completano in modo ideale le scelte registiche, oppure l'inizio con il coro coinvolto in pose e movenze da tragedia greca. I costumi di Ana Garay sono storici ma senza essere necessariamente ancorati a un dato momento, ambientandosi così la vicenda in un tempo universale anche per la presenza delle maschere della seconda parte. Particolarmente calzanti i video di Pedro Chamizo: all'inizio un mare tempestoso assedia un'isola-monte rocciosa a richiamare l'orografia di Cipro, poi lo stesso mare (proiettato in modo rovesciato) assume la forma di un cielo tempestoso, quindi si tinge di rosso sangue e infine si calma in una distesa azzurra dove si riflette baluginante il sole. Ci ha convinto anche il salice che cresce durante l'omonima canzone per poi mutarsi in un albero spoglio che leva i rami nudi al cielo e si moltiplica in linee deformate da incubo. Essenziali nell'economia dell'insieme anche i movimenti curati da Carlos Martos e le luci geometriche di Albert Faura. Il successo della regia è dato anche e soprattutto dall'efficacia dei movimenti delle masse, dei mimi, dei singoli cantanti.
Riccardo Frizza ha offerto una direzione con tempi perfetti (mai serrati e mai neppure allargati) e un suono che mescola ogni singola componente orchestrale in un amalgama di grande suggestione che non sfrutta i contrasti a vantaggio di una musicalità morbida come le onde del mare. Il Maestro privilegia i momenti intimi e interiori rispetto a quelli in cui la forza tellurica della natura domina (l'equilibrio è perfetto tra la maestosità dell'impianto architettonico della partitura e l'eleganza raffinata di singoli episodi) e l'Orchestra filarmonica marchigiana lo segue con particolare attenzione: il risultato ci è parso uno dei migliori di questi ultimi anni.
Stuart Neill, nel ruolo del titolo, ha voce di bel colore e convincente nella progressione di sentimenti che lo portano al finale; se alcuni acuti sono risultati affaticati, questo non ha inficiato una prestazione complessivamente positiva anche per la generosità del tenore; il registro centrale è compatto e ben saldato all'acuto; il fraseggio risente di una certa intonazione americana. Roberto Frontali ha approfondito e maturato il ruolo di Jago che qui si impone con grandissimo rilievo, padroneggiandolo completamente sia dal punto di vista attoriale che vocale e reso in questo caso particolarmente violento e manesco, oltre che sottilmente insinuante e pericolosamente cattivo e nella voce ricca di sfumature, sonora nelle discese nel grave e ben proiettata nei fiammeggianti acuti. Jessica Nuccio è una Desdemona innamorata e rassegnata, poco volitiva, che cresce nel corso della recita, arrivando a un quarto atto di grande intensità dove, nella Canzone del salice, fonde mirabilmente un bel timbro all'emissione salda e agli accenti commoventi. Riusciti i ruoli di contorno, in particolare il Roderigo baldanzoso di Manuel Pierattelli e il Lodovico regale di Seung Pil Choi. Sonora la Emilia di Tamta Tarieli; giovanile e impetuoso il Cassio di Davide Giusti. Con loro il Montano di Giacomo Medici, l'Araldo di Franco Di Girolamo, il Coro lirico marchigiano ben preparato da Carlo Morganti e il Coro di voci bianche Pueri Cantores Zamberletti curato da Gianluca Paolucci.
Nei due cambi scena (tra primo e secondo e tra terzo e quarto atto, in quanto l'opera viene eseguita con un solo intervallo dopo il secondo atto) vengono proiettati sul muro dello Sferisterio due sonetti di Shakespeare, scelta che sottolinea le notazioni shakespeariane che il regista ha colto e proposto.