Shakespeare era italiano? La questione che riguarda la vera identità del Bardo è in questi giorni oggetto, ancora una volta, di discussione ed approfondimento, seconda, nella storia della letteratura mondiale, solo a quella riguardante un altro grande autore come Omero.
Sull’italianità di sir William si parla da anni, anche alla luce della profonda conoscenza della cultura del nostro paese, che traspira attraverso testi che, oltre che per l’ambientazione, utilizzano la macchina teatrale in maniera così disinvolta pari solo ai meccanismi ad orologeria quali erano i canovacci della nostra Commedia dell’Arte.
Non sappiamo quanto quest’analisi abbia influito nel progetto che Arturo Cirillo ha ideato nel mettere in scena “Otello” ma di certo sono le prime considerazioni a cui si può giungere nell’assistere ad uno spettacolo che comincia, in contraposizione con una tradizione che vuole incombente la tragedia finale sin dall’emissione della prima battuta, con i toni e gli stilemi che portano invece alla suddetta Commedia dell’Arte, evocata, per giunta, da maschere e costumi che fanno diventare il vecchio Brabantio ed il Doge di Venezia rispettivamente un ridicolo Pulcinella ed un burbero Pantalone, mentre Jago e Roderigo cospirano alle spalle del Moro coperti da domino e bautta. Ottimo l’esordio shakespeariano del regista Cirillo, ed è un giudizio che, per una volta, è condiviso con un pubblico che ha assistito ad uno spettacolo vero. Uno spettacolo che fa della parola recitata un fulcro ma non si ferma ad essa, poiché finalmente c’è una regia che utilizza in maniera appropriata sì il verso concepito da Shakespeare (o chi per lui), ma anche lo spazio e la visualità con grande sensibilità, competenza ed inventiva, senza sterile esibizione di dotta sapienza, ma nemmeno con superficiale piattume. Uno spettacolo che abbraccia il pubblico senza spaventarlo con pomposi allestimenti o supponenti elucubrazioni, ma che, proprio per questo, riesce ad esibire una dotta conoscenza del testo e della macchina teatrale. Naturalmente al servizio di una regia che non esitiamo a definire perfetta è l’intelligente invenzione scenografica di Dario Gessati, due mura che, spostate a mano, di volta in volta, dagli stessi attori, diventano strada, porto, casa, e che, così come la recitazione degli interpreti da comica va a trasformarsi in tragica man mano che ci si avvicina all’altrettanto tragico epilogo, essa si chiude in un angusto e claustrofobico antro in cui lo scarno letto nuziale di Otello e Desdemona si trasforma nel loro sudario. Degli attori, tutti impegnati in un lavoro di grande impegno espressivo, è bene sottolineare il vigore passionale che diventa prima sentimento vendicativo e poi dolorosa contrizione con cui Danilo Nigrelli ha fatto rivivere Otello, a dieci anni dall’edizione firmata da Antonio Latella di cui pure fu protagonista, l’irresistibile verve con cui Luciano Saltarelli condisce il solitamente insipido personaggio di Roderigo, suscitando più di un consenso da parte del divertito pubblico, e, soprattutto, la straordinaria forza con cui lo stesso Cirillo interpreta Jago, costruendo quella che non esitiamo a considerare la sua più grande prova d’attore tra quelle che finora ha espresso nelle sua pur lusinghiera carriera di interprete teatrale. Cirillo dona al suo personaggio un forza affabulatoria assolutamente trascinante, riuscendo a far diventare profondo e consapevolmente corrotto quello che rischiosamente, data la scelta registica, sarebbe potuto risultare semplicemente un carattere ben compitato.
Completano il cast Monica Piseddu (una Desdemona forse un po' troppo petulante), Michelangelo Dalisi (diligente Cassio), Sabrina Scuccimarra (vigorosa Emilia), Salvatore Caruso e Rosario Giglio, quest’ultimi entrambi impegnati, in coerenza col gioco teatrale voluto dalla regia, in triplici riuscite interpretazioni, il primo come Doge, Montano e Bianca, il secondo nei panni di Brabantio, Araldo e Lodovico.
Ovazioni, per una volta meritate, hanno salutato la fine di uno spettacolo che fa ricredere sulla considerazione che, spesso a ragione, vuole il teatro italiano poco incline a Shakespeare.
Visto il
17-11-2009
al
San Ferdinando
di Napoli
(NA)