Incredibile ma vero, Otello di Rossini mancava dalla Scala da 145 anni: l'ultima edizione infatti è del 1870. Dunque, dopo una lunga attesa, ecco la nuova produzione insieme alla Staatsoper di Berlino con la regia del sovrintendente di questa, Jürgen Flimm.
La scena, curata dal regista e tratta da un'idea di Anselm Kiefer, restringe il palcoscenico alla zona centrale con tre grandi veli-vele di colore chiaro, che lasciano vedere il nero spazio intorno da cui entrano ed escono i cantanti. Il pavimento, nel secondo atto, si copre di sabbia e, nel terzo, una gondola in proscenio consente l'ambientazione nella camera da letto. I costumi, scuri e uniformi, di Ursula Kudrna situano l'azione nel primo Ottocento e riservano a Desdemona un tocco surreale per la gonna-corolla di piume. Le luci di Sebastian Alphons completano la visione non reale dell'allestimento, dove la regia di Flimm, coadiuvato da Gudrun Hartmann, agisce per simboli di chiara comprensione nella loro oggettività ma di oscuro legame con la trama; inoltre le dinamiche tra i personaggi sono in evidenza ma contrastanti nel procedere del racconto. Il finale, che riporta l'azione ai giorni nostri, è parso irrilevante e confondente: un velatino sale in proscenio con l'immagine di grattacieli in costruzione e il resto del palcoscenico resta nudo, caduti i veli-vele a svelare le scene accatastate di Tosca e la dotazione tecnica della Scala. Jago resta in vita in platea insieme a una donna-cigno replica di Desdemona, lui deus ex machina degli avvenimenti e vincitore: questa l'unica certezza.
Muhai Tang dirige il Rossini del periodo napoletano come se fosse una partitura di altro compositore: il suono è pesante e ingombrante e manca dunque di leggerezza e morbidezza ma soprattutto della tensione drammatica necessaria, propendendo anche nei tempi per una meccanica routine che elimina ogni sfumatura e conferisce alla partitura una mancanza di carattere che sconfina in una sbiadita noia.
Ottimo il cast. Gregory Kunde non è “moro” ma ha tatuaggi geometrici sul volto in stile maori; la voce brunita appare perfetta per il ruolo del titolo, che insiste sul registro centrale quasi con modalità baritonali, e non teme gli acuti che affronta con forza, pienezza e accenti personali a caratterizzare meglio il personaggio. Olga Peretyatko, oltre che bella, ha grazia innata, disinvoltura scenica e canta bene; la russa conferisce a Desdemona, su indicazione registica, un atteggiamento di svagato stupore, come se non sapesse esattamente dove si trovi e nell'eterna indecisione su chi amare, sempre incomprensibilmente confusa, sminuendo così la tragicità della figura che perde l'aura patetica e austera dell'eroina; se la voce non è grande, la linea di canto è impeccabile e fluida e il fraseggio curato e delicato, come perfetta è la pronuncia e sicuri gli acuti. Juan Diego Flòrez ha la parte più ardua del cast e vince la sfida: il suo Rodrigo conquista il pubblico per la sicurezza vocale e lo spessore interpretativo che sottolinea tutte le sfaccettature del personaggio, arricchendolo anche con molto del proprio: se il regista lo vuole principalmente arrabbiato e sgarbato in modo monotono, il tenore passa dalla dolcezza ammantata di sconforto del primo atto per passare ai fuochi di artificio del secondo atto e, nell'aria Ah! Come mai non senti, dalla tenerezza delle prime frasi al fuoco della ripresa, cesellando ogni frase con un proprio accento. Edgardo Rocha è il terzo tenore ma non in sequenza decrescente, bravo invece come i due precedenti e adatto al ruolo di Jago per la voce chiara e l'eccellente musicalità che ben si distingue dagli altri due, ben timbrando gli acuti luminosi e dimostrandosi attorialmente il “genio del male” richiesto dal libretto (in questa versione Jago non muore, ma nel finale è al centro della platea a gridare le frasi di Lucio mentre bacia una sosia di Desdemona, donna cigno dalla piume svolazzanti agognata invano in scena). Roberto Tagliavini dona rilievo a Elmiro, padre di Desdemona, ruolo minore ma determinante nell'economia dell'opera. Emilia è la bravissima Annalisa Stroppa, dalla voce scura e dall'interpretazione netta e incisiva. Nicola Pamio è un Doge anzianissimo e parkinsoniano, la cui voce si adegua al tremolio delle mani e all'incerta andatura delle gambe. Invece voce piena e canto non sfumato per il Gondoliere di Sehoon Moon, solista dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala. A completare il cast come Seguaci di Otello Davide Baronchelli, Guillermo Esteban Bussolini, Alberto Paccagnini e Vincenzo Alaimo. Il coro, assai impegnato anche attorialmente, è stato ben preparato da Bruno Casoni.