Lirica
OTELLO

L'Otello di Firenze in scena dopo mesi di attesa: una lezione di stile in prima serata su RAI 5

Otello
Otello © Michele Monasta

Doveva andare in scena mesi fa nell'ambito del Maggio Musicale Fiorentino, questo Otello verdiano. Con non uno, bensì tre debutti nei ruoli principali. Quelli di Fabio Sartori, Marina Rebeka e Luca Salsi, anche se il baritono parmense Jago l'aveva già interpretato in concerto a Berlino, diretto da Zubin Mehta. Finalmente il recupero c'è stato: a sala vuota, ma trasmesso lunedì scorso da RAI 5.

Una guida musicale precisa come un radar

L'Orchestra del Maggio potrebbe seguire Mehta ad occhi chiusi, tanto è l'affiatamento che li lega. All'inizio però la concertazione di Mehta desta perplessità perché – al di là delle indubbie finezze strumentali che emergono a mille, al di là della ferrea disciplina tra buca ed interpreti – sconcerta la scelta del metronomo, con tempi al primo atto piuttosto dilatati. Buoni per cogliere finezze strumentali, disagevoli per i cantanti. Presto però la concertazione prende il volo: man mano sempre più vigorosa, screziata di bellissimi colori, ricca di tensione drammatica ed intrisa di cupa e fatale drammaticità. Una grande lezione di stile e di antico mestiere.

 Luca Salsi, Marina Rebeka e Fabio Sartori

Tre debutti eccellenti

Fabio Sartori entra in scena, e lo squillo dell'Esultate risuona limpido e prodigo. Il tenore veneto ha in tasca tutte le note di quest'arduo ruolo, messo a fuoco insieme ad un grandissimo Otello storico, cioè Placido Domingo. Vista la sua peculiare vocalità, il tenore veneto lo risolve più sul versante lirico che su quello muscolare, e centra il bersaglio. Non che gli manchi la voce, mai in riserva, è solo una scelta di campo intelligente. 

Ecco dunque un Moro veemente, quasi ferino nell'accento, nobilmente altisonante quando serve - come in Ora e per sempre addio - con acuti saldi, rilucenti, ben lanciati e ben sostenuti. Che nel contempo non si dimentica di legare con finezza i suoni, modulare le mezze voci, dipingere al meglio le mezze tinte; non a caso, è tutto l'ultimo quadro il suo momento di gloria. Peccato solo per quella carenza di phisique du rôle, che certi primi piani finiscono per mettere in risalto.

Fabio Sartori e Marina Rebeka


Marina Rebeka affronta la sua prima Desdemona, non però il suo primo Verdi, autore a lei assai congeniale. La voce è morbida, dolce, ben timbrata, spessa al pari d'un velluto; l'espressività, soffusa e piena; la tecnica ben studiata e l'innata sensibilità sfociano nell'accurata lettura della parte. Sarebbe da 10 e lode, se il registro grave del soprano di Riga non suonasse un po' vuoto (lo notammo di già quattro anni fa a Trieste, alla sua prima Norma), limitazione che emerge implacabilmente quando la tessitura si abbassa; ma che non sminuisce né una melanconica Canzone del Salice né la trepidante Ave Maria, apici di una superlativa performance.

Luca Salsi è un grande, grandissimo Jago: la forte indole attoriale, il cesello delle frasi, l'attenzione maniacale all'eloquenza, la penetrazione del personaggio – doti apprezzate già nel suo primo Falstaff – le ritroviamo pari pari qui. Dove emerge benissimo tanto l'ipocrisia maligna e melliflua, a fior di labbro, quanto la perfida malvagità interiore del personaggio. E poi la voce! Bella di natura, chiara quanto serve, ben proiettata in avanti, supera le difficoltà dell'eccezionale estensione senza intralci; anche il frastagliato fraseggio vien superato d'un balzo, resa a dovere ogni sfumatura, gli acuti fermi e timbrati.

 Luca Salsi e Fabio Sartori


A completare i cast, con collettiva bravura, l'ottimo Cassio di Riccardo Della Sciucca, il Roderigo di Francesco Pittari, l'Emilia di Caterina Piva, il Lodovico di Alessio Cacciamani, il Montano di Francesco Milanese, e l'araldo di Francesco Samuele Venuti. Degni di lode sia il Coro maggiore, sia quello di voci bianche, entrambi preparati da Lorenzo Fratini.

Nell'allestimento, cose già viste

Allestimento nuovo di zecca, ma non di quelli memorabili. La smorta e statica regia di Valerio Binasco mette in campo qualche buona ideuzza, e la sviluppa a dovere; ma nel complesso non riesce a conferire epica drammaticità al racconto. 


E poi ripete un cliché visto e rivisto, allorché dalla solare Cipro ci porta nelle solite retrovie belliche, lugubri e confuse, fra cumuli di rovine ed una soldataglia irrequieta e indisciplinata. Visti gli abiti e le divise, potremmo essere dietro le linee della Grande Guerra, ad un tiro di schioppo dal mare di Trieste. O forse anni prima, forse anni dopo, fa lo stesso: la minestra è sempre quella. 

Guido Fiorato ha disegnato le scene, Gianluca Falaschi i costumi e Pasquale Mari un bel gioco di luci. Buona la ripresa audio, regia televisiva così così. Diciamo che ama troppo i campi lunghi, e trascura spesso le ragioni della musica.

Visto il 30-11-2020
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)