Milano, teatro degli Arcimboldi, “Otello” di Giuseppe Verdi
IL NEMICO PIU’ PERICOLOSO E’ L’AMICO DA CUI NON SAI DI DOVERTI DIFENDERE
Chi è convinto che Otello sia il dramma della gelosia si sbaglia. E di grosso. Infatti nessuno, tranne Otello, ama Desdemona, la quale a sua volta non ama nessuno, tranne Otello. Manca il terzo, che giustifica ogni infedeltà. Piuttosto Otello è il dramma dell’invidia, il dramma di chi, aspirando alla posizione di un altro o semplicemente per la rabbia causata dai risultati raggiunti da un altro, cerca di distruggerlo. Con ogni mezzo. L’invidia di Jago è il centro ed il motore della vicenda, un’invidia cieca ed irrazionale ma così forte che non si ferma di fronte a nulla, che non si impietosisce di fronte a nessuno. E se riesce facile prepararsi e combattere i nemici, è più difficile difendersi quando quelli da combattere sono gli amici, o piuttosto quelli che si spacciano per tali, che si presentano come amici pur non essendolo: quelli sono i peggiori nemici. Come nel recente film “La febbre” di D’Alatri, l’invidia divora chi la prova e la sua insaziabile fame si sprigiona nella demonizzazione o nella demolizione del destinatario dell’avverso sentimento. Altrimenti come si spiega una comitiva di amici che inventa cattiverie assolutamente non vere su un componente del gruppo? Come si spiegano i velenosi gossip che avvelenano la vita di paese? Come si giustificano atteggiamenti di guerra di “amici” contro “amici”? Ma se la persona che devi combattere è un nemico, allora sai come difenderti. Il problema è se la persona che devi combattere è un amico (come Jago per Otello), che tu non sai di dover combattere. Da cui non sai di doverti difendere. Allora soccombi, inesorabilmente.
L’Otello di Graham Vick (scene Ezio Frigerio, costumi Franca Squarciapino, luci Matthew Richardson), con cui la Scala aveva inaugurato la stagione il 7 dicembre 2001, è particolarmente efficace. All’apertura del sipario il pavimento è spaccato in quattro parti e c’è una lacerazione anche nel muro curvo di fondoscena: una massa di persone si muove, la tempesta agita e sconvolge le onde, il vento ed anche i destini degli uomini. Dopo la tempesta e la rissa arriva il momento del duetto tra Otello e Desdemona: le fratture si ricompongono, il pavimento diventa un cerchio perfetto ed il muro si rinsalda. La scenografia, prima in due parti, una bianca e l’altra nera, due metà, ora è unificata, una unione che dà senso ed armonia all’insieme, come l’amore di una coppia, quello vero, quello totale, quello reciproco, quello ricambiato e felice, quello che ristabilisce l’equilibrio e l’armonia dell’universo. L’amore trasforma anche l’universo e lo porta alla serenità. Un mondo pacificato circonda i due innamorati al centro del palcoscenico circolare, il loro amore è capace di infondersi all’ambiente e a trasformarlo. Il segno è la rosa rossa che stringono in mano. Nel secondo atto un taglio nel muro di fondo rivela un giardino, che però è solo un mosaico con sfondo dorato e alberi da frutto, un universo solo apparentemente aperto, ma in realtà chiuso e claustrofobico. E così rimarrà fino alla fine, anzi in un crescendo diverrà sempre più chiuso e più grigio. Come l’invidia di Jago. Come la mente ottenebrata di Otello. Bravissimo Vick, anche nella sapiente orchestrazione delle masse.
Nei ruoli principali si è distinta una magnifica Daniela Dessì, che ha fornito la più bella performance di Desdemona degli ultimi anni, lirica ed intensa da staccare pezzi dal cuore di ogni ascoltatore. L’emissione è magistrale, controllatissima ed incentrata su piani, pianissimi, filati e vibrati, tutti di una dolcezza e passione senza eguali. Ogni momento cantato dalla Dessì ha del miracoloso, dalla toccante Ave Maria agli espressivi duetti con Otello, alla commovente Canzone del salice, in cui Desdemona è consapevole del proprio destino avverso ed a questo dolorosamente rassegnata. La sua interpretazione tocca tutte le corde e il regista la vuole non ingenua, ma donna matura, consapevole del proprio amore e di come esprimerlo, leale e sincera verso tutti, come nelle scene in cui gioca a moscacieca o riceve una sopravveste in omaggio dai marinai. E la Dessì è perfetta, in stato di grazia. Bellissima nel quarto atto, con uno scialle a riscaldare un freddo dell’anima che non può più essere riscaldato e che è ben evidente nella brandina che sembra quella di un condannato a morte.
Non è da meno lo Jago di Leo Nucci, espressivo come attore, splendido nella forma vocale, soprattutto nell’agghiacciante Credo: il suo personaggio non è satanico e irreale, ma un uomo reale mosso dall’invidia ed assetato di vendetta. Deludente invece l’Otello di Vitali Taraschenko, totalmente privo di espressività nella voce e statico nei gesti: fatica talmente tanto nel registro centrale che poi perde la voce nelle note basse. Di lusso i comprimari, dalla splendida e limpida voce di Francesco Meli (Cassio) a quella sicura e calda di Giovanni Battista Parodi (Ludovico). Ottima la direzione del maestro Oleg Castani, con l’orchestra scaligera in stato di grazia, soprattutto la sezione degli archi ed il coro in grandissima forma.
Insomma un grande Otello, una splendida esecuzione di questa opera dell’ultima produzione del Maestro, negli anni dell’introspezione psicologica, del ripiegamento su se stesso, dell’analisi delle infinite sfumature dei sentimenti. Un’opera bella da vedere e da ascoltare. Un’opera che potrebbe affascinare anche chi ci va per la prima volta.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Milano, teatro degli Arcimboldi, il 19 maggio 2005.
Visto il
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Arcimboldi
di Milano
(MI)