Napoli, teatro di San Carlo, “Otello” di Giuseppe Verdi
CHI AMA DAVVERO E’ DESTINATO A MORIRE?
Gli inquietanti interrogativi del testo shakespeariano sono evidenziati nel libretto di Arrigo Boito e nella partitura di Verdi, scritta dopo sedici anni di silenzio totale, meditata profondamente, un’opera complessa di musica e parole, nella quale la musica raggiunge una sublime armonia con le parole.
Il racconto disperato e tumultuoso di un amore così forte da potersi concludere solo con la morte è ambientato in scene tradizionali e belle dell’esperto Mauro Carosi, completate dai costumi eleganti di Odette Nicoletti ed esaltate dalle splendide luci progettate da Guido Levi ed elaborate da Fiammetta Baldiserri. La regia di Pier Francesco Maestrini è poco visibile, limitandosi a seguire fedelmente in libretto con un risultato tiepido, pur creando momenti particolarmente azzeccati, come la canzone del salce, simile a un dipinto preraffaellita, o il finale, con il buio che inghiotte i personaggi in scena immobili con lo sguardo fisso in diverse opposte direzioni. L’armeno Gorge Pehlivanian è stato forse l’elemento più debole dello spettacolo, dirigendo con improvvisi rallentamenti e poca decisione, soprattutto non riuscendo ad evidenziare i suggestivi chiaroscuri della partitura e pensando di compensare tale mancanza fondamentale con improvvisi picchi di volume (soprattutto con i fiati) il cui unico risultato è stato invece quello di coprire i cantanti (addirittura nell’acuto del Credo). Un problema in un’opera in cui l’orchestra è protagonista, crea e accompagna l’azione drammaturgica seguendola costantemente, arrivando fino all’anima dei personaggi. E degli spettatori. Cosa che qui non è accaduta, nonostante l’impegno dei professori d’orchestra, soprattutto della sezione degli archi.
Dopo un inizio in difficoltà, buona la prova, maggiormente negli atti terzo e quarto, di Fiorenza Cedolins, che ha una voce bella per timbro e colore, però si è lasciata andare spesso ad un canto troppo enfatico ed innaturale, con poca cura dei pianissimi. La sua è una parte splendida, l’essere puro di cuore e innamorato, per questo destinato a morire: lo si intuisce subito, al suo primo apparire, con quel violoncello solista e poi dominante, che dà tutto il senso del dolore e dell’inutilità dell’amore. Carlo Guelfi ha tratteggiato uno Jago perfido e vendicativo, voce ben impostata e controllata seppure di timbro non scurissimo. Infatti è risultata troppo vicina per colore a quella, scura, di Vladimir Galouzine, che, nel ruolo del titolo, ha fornito una prova non memorabile. Insieme a loro sono stati corretti Alessandro Liberatore (Cassio), Luca Casalin (Roderigo), Antonio Gobbi (Ludovico), Lorenzo Muzzi (Montano) e Rossana Rinaldi (Emilia). Buona la prova del coro del San Carlo. Moltissimi stranieri tra il pubblico: per loro Napoli è un incanto.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Napoli, teatro di San Carlo, il 21 maggio 2006