Prosa
OTELLO

Otello nel deserto dei tartari

Otello nel deserto dei tartari
Macerata, teatro Lauro Rossi, “Otello” di William Shakespeare OTELLO NEL DESERTO DEI TARTARI Arturo Cirillo ambienta il suo Otello in un tempo immobile, privo di azioni e di reazioni alle azioni, un luogo mentale che mi ha ricordato, nelle suggestioni e nel vuoto, il deserto dei tartari di Buzzati. La evocazione dei luoghi è demandata a rumori: l'acqua, il vento, un muezzin, il canto di una donna araba. La scenografia di Dario Gessati è improntata al vuoto, con al centro due elementi verticali, due muri di pietra che, ruotando su sé stessi, delimitano lo spazio in modo da suggerire i diversi luoghi dell'azione, da Venezia a Cipro, interni ed esterni, isole, scafi di navi, pareti. Luoghi suggeriti non in senso geografico quanto piuttosto mentale, luoghi di ossessioni, non di azioni. Motivo dominante il letto, i letti, piccoli, di ferro, vuoti e disfatti per lo più, spinti avanti e indietro su ruote (dal letto su cui arriva il doge a quello dove muore Desdemona). Luoghi e letti dove le luci di Pasquale Mari disegnano strane ombre e sghembe geometrie schiarendo appena il buio dominante. Otello ha il viso mezzo bianco e mezzo nero: “sporco di fuliggine” secondo il suocero, “pelle bianca” secondo il doge. Otello è onesto e ingenuo, ma anche un “mostro epilettico” che si muove scimmiescamente (braccia e gambe a terra). Otello rivela da subito grandi capacità affabulatorie e descrittive di luoghi e viaggi, ciò che ha incantato Desdemona e che gli procura l'ammirazione di amici e sottoposti. Il rapporto con Desdemona con evidenza nasce da un contrasto che entrambi hanno con il padre di lei, il quale sembra dare il primo suggerimento a Iago: “Otello, attento: se Desdemona ha tradito il padre può tradire anche un altro”. Così il suggerimento del perfido trova terreno fertilissimo, arrivando a insinuare la calunnia che, come il venticello rossiniano, cresce e cresce fino a confondere il Moro che perde i punti di riferimento e ogni certezza, non riconoscendo più, spingendosi a chiedere a Desdemona “Tu, che cosa sei?”. Danilo Nigrelli interpreta Otello senza strafare, una postura sempre di tre quarti, lo sguardo rivolto a terra, il viso per metà scurito, come una metamorfosi in fieri. Iago, attorialmente, è caratterizzato da due estremi: massima verbosità e minima gestualità. Uno Iago odioso e detestabile che Cirillo riserva per sé. Ingobbito, serpentino, insinuante, mai sguardo diretto sull'interlocutore: appare in scena avvolto da una lunga cappa nera cangiante in verde bottiglia (completata dalla bautta) e, fino alla fine, si ha l'impressione che sia permanentemente sotto una cappa creata dalla rete di bugie e inganni, anche quando veste, per tutto il resto della recita, una sahariana avana come gli altri. (I costumi di Gianluca Falaschi situano l'azione nel Novecento, divise color avana per tutti; stivali per Otello, scarpe per gli altri). Desdemona (Monica Piseddu) è “prodiga di sé”, acerba e un po' ragazza viziata, annoiata, ma ecumenica: di fronte alla furia di Otello, a lei incomprensibile, si raccomanda per entrambi, “Dio mio, perdonaci”, salvo poi nel finale comprendere appieno: “il Cielo abbia pietà di me”. Sempre un po' discinta nelle scollature, nel finale mostra il fisico ossuto, un corpo magro che la presenta sul letto quasi come agnello sacrificale, novella Ifigenia che canticchia la canzone del salice, in Verdi il momento più toccante. Cassio sembra interessato a mantenere alta la reputazione, assimilata alla sua “parte immortale”: “il buon nome è il contante dell'anima” e Michelangelo Dalisi lo rende in modo ambiguo. Bravissima Sabrina Scuccimarra come Emilia, moglie di Iago che troppo tardi ne comprende le trame e che, nel finale, accenna anch'ella la canzone del salice. Bianca, la prostituta amante di Cassio, è un uomo travestito (Salvatore Caruso): ambiguità della sessualità, con la gonna svolazzante, il boa di piume e i tacchi a spillo sui polpacci villosi e moscolosi. Caruso interpreta anche il doge, in maschera da commedia dell'arte e vestaglia colorata di foggia e ricami orientali, tronescamente assiso su un letto. Negli altri ruoli Luciano Saltarelli (Roderigo) e Rosario Giglio (Lodovico, Brabanzio, Araldo). La traduzione di Patrizia Cavalli è interessante, ruvida eppure vellutata, essenziale eppure sontuosa, capace di attualizzare senza banalizzare, mantenendo il senso del testo originale e dei riferimenti dell'epoca, pur nello slittamento temporale dell'allestimento. La drammaturgia condensa il dramma in un paio d'ore senza intervallo, creando un ritmo teso e sostenuto, incisivo, anche se il finale resta troppo nel solco della tradizione, considerato che il dramma è sfrondato per concentrarsi sui tre personaggi principali, il Moro, Desdemona e Iago. Il lavoro registico di Arturo Cirillo, più che sul plot, è sui personaggi, scontornati e osservati da ulteriori angolazioni, isolati nel buio. Infatti è intenso il momento del confronto finale tra Otello e Desdemona, occluso da una parete pietrosa grigiastra senza uscita, illuminato da una fioca, nuda lampadina e incentrato su un letto sfatto. Otello chiude fra le mani la lampadina – fuoco di Prometeo, parlando per la prima volta di “uccisione”. Compiuto l'orrendo gesto, all'arrivo di altri, Otello si rifugia, mugolante e delirante, sotto il letto. E qui si poteva chiudere il sipario. Lo spettacolo è una nuova produzione del teatro Stabile delle Marche; qualche posto vuoto a teatro, pubblico silenzioso ed attento, applausi alla fine. Visto a Macerata, teatro Lauro Rossi, il 02 dicembre 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Curci di Barletta (BT)