Lirica
OTELLO

Ottime voci per ''Otello'' a Napoli

Ottime voci per ''Otello'' a Napoli

Otello è il secondo titolo serio di Rossini per Napoli. Destinata al San Carlo, l’opera andò in scena nel 1816 al Teatro del Fondo in quanto il palcoscenico maggiore nel frattempo era stato distrutto da un incendio. Il successo fu immediato e clamoroso e si prolungò per buona parte del XIX secolo, almeno fino all’avvento, settant’anni dopo, della non meno fortunata creazione di Giuseppe Verdi sullo stesso soggetto. A fornire i versi a Rossini fu Francesco Berio di Salsa, letterato di gusto raffinato e di ottime letture, che si basò su una pluralità di fonti (non tanto l’originale Otello shakespeariano, pure tenuto sott’occhio, quanto la sua traduzione francese a firma di Jean-François Ducis, e inoltre l’omonima «azione poetica in cinque atti» del barone Giovanni Carlo Cosenza) e allestì un libretto a tratti incoerente ma perfettamente in grado di stimolare la fantasia del compositore e di valorizzare gli interpreti per i quali la partitura venne concepita.

Davvero stellare, infatti, era il cast partenopeo del 1816. In primo piano il soprano Isabella Colbran, idolo del pubblico, che naturalmente impersonò Desdemona. Nessuna collega poteva affiancarla se non in posizione nettamente subordinata, e ciò spiega il peso assai contenuto dell’altro personaggio femminile dell’opera, Emilia. Sul versante maschile, due tenori di eccezionale bravura, Andrea Nozzari e Giovanni David. Al primo spettò di diritto il title role; il secondo trovava molto congeniali al proprio temperamento le parti di innamorato, e pertanto dalla trama spunta fuori con deuteragonistica evidenza un Rodrigo spasimante di Desdemona. Il terzo tenore a disposizione, Giuseppe Ciccimarra, era un artista abile ma di levatura senz’altro inferiore, sicché il suo Iago diventa un figura piuttosto defilata dal punto di vista sia drammaturgico, sia musicale.

I nomi appena ricordati bastano a far comprendere come la rappresentazione dell’opera rossiniana richieda anzitutto cantanti di prim’ordine, dotati di ragguardevoli abilità tecniche ed espressive e capaci di calarsi con gusto e competenza nel gusto del primo Ottocento. Tali doti non difettano ai protagonisti della messinscena proposta in questi giorni dal San Carlo come primo, atteso appuntamento della stagione lirica 2016-2017. John Osborn (Otello) è energico e potente, talvolta perfino spavaldo nei virtuosismi ma sempre capace di controllare con sicurezza l’emissione. Davvero splendida è l’interpretazione di Dmitry Korchak (Rodrigo), irreprensibile nei passi di agilità e attentissimo nel dosare colori e spessori. Notevole anche Juan Francisco Gatell (Jago), che alla padronanza vocale unisce un’appropriata presenza scenica. Nino Machaidze affronta con sicurezza e con eleganza le impervie difficoltà della parte di Desdemona e supera la prova a pieni voti. Mirco Palazzi, pur con un volume contenuto, dona la giusta autorevolezza a Elmiro. Precisa nel canto e disinvolta nel gesto è Gaia Petrone (Emilia). Un contributo più che apprezzabile forniscono Nicola Pamio (il doge) ed Enrico Iviglia (il gondoliere e Lucio).

È un vero peccato che un cast di così alto livello non sia stato adeguatamente sostenuto dal direttore Gabriele Ferro. La sua conduzione è parsa monotona, opaca, priva di slancio, ragionieristica e perciò del tutto inadeguata a restituire l’energia febbrile che attraversa la partitura rossiniana. L’orchestra, sotto una tale guida, ha suonato in modo slegato e poco incisivo; tra gli strumenti chiamati ad assoli concertanti, uno speciale plauso merita il primo corno.

Inesistente la regia di Amos Gitai. L’israeliano non lavora sull’opera, ma intorno ad essa. Dopo la sinfonia d’apertura crea un’inquietante sospensione mediante un filmato di guerra ripreso da un elicottero, e in alcuni punti dell’azione, specie nelle scene di massa, sovrappone proiezioni di sapore documentaristico agli eventi rappresentati. Per il resto, posizioni, movimenti d'insieme e gesti individuali risultano assai convenzionali, e l’effetto complessivo è di grande staticità.

Belle, maestose e cupe le scene di Dante Ferretti: l’interno di una nave per il primo atto, una grande sala con camino per il secondo, la galleria di un palazzo patrizio per il terzo. Hanno invece foggia contemporanea i costumi di Gabriella Pescucci. Il contrasto, che dovrebbe suggerire una corrispondenza tra passato e presente, genera in realtà una certa confusione e sembra denunciare l’assenza di un’idea generatrice coerente e condivisa.

Visto il 02-12-2016
al San Carlo di Napoli (NA)