Lirica
OTELLO

Sotto i segni dello Zodiaco: L’Otello di Francesco Micheli

L'Otello
L'Otello © Michele Crosera

Lo spettacolo impostato da Francesco Micheli e dai suoi collaboratori gioca sulle rappresentazioni mitologiche. La regia scorre pregnante, razionale e veloce

E' un Otello all'insegna dello Zodiaco, quello che Francesco Micheli ideò nel 2012 per La Fenice e che vi riappare in questo inizio di primavera. Scongiurata la minaccia di uno sciopero alla prima, le recite sono filate via lisce, sempre con la sala piena. Anche perché questo titolo verdiano non è frequente, e quindi molto ambito dal pubblico.

La causa prima è ben nota: la difficoltà di reperire un interprete adeguato per il protagonista, creato nel 1887 da Francesco Tamagno, il quale possedeva voce brillante e di inaudita potenza - anche negli impavidi acuti - e dalla eccezionale resistenza. All'inizio Verdi dubitava sulla sua idoneità a renderne la ricchezza di sfumature, indispensabili per delineare compiutamente il personaggio ed il suo disfacimento psicologico. Si sbagliava: Tamagno divenne per anni l'Otello più ricercato, creando – a torto o ragione - un prototipo giunto ai giorni nostri.


Quant'è difficile trovare un Otello...

Figuriamoci cosa Verdi avrebbe avendo davanti l'Otello che Marco Berti ha offerto in questa recita veneziana. Esordisce con un Esultate sgraziato, e prosegue con una interpretazione monodirezionale, belluina e vociferante, con occasionali sbandamenti nell'intonazione. Incapace sopra tutto di sfumare, di addolcire e modulare i suoni, di legarli a dovere. Senza mettere in discussione un'emissione squillante, facile alla salita ed alla tenuta degli acuti, lesue non son folgori, son grandinate. Carmela Remigio non parrebbe una Desdemona ideale – le sfugge l'attonita, incosciente stolidità del personaggio – però quando si tratta di esprimersi in puro canto, ci siamo. La canzone del salice e l'Ave Maria le riescono al meglio, intense ed emozionanti, con finissimi filati e con piano e pianissimi di grande morbidezza. Dalibor Janis si impegna a fondo e rende compiutamente, dal lato attoriale, la dirompente malvagità di Jago, e la sua sottile melliflua ipocrisia; ma si potrebbero scansare sia qualche intemperanza di troppo, sia certi suoni aperti e sforzati. Nei che sminuiscono, ad esempio, un Credo altrimenti dirompente. Le parti di contorno sono consone: Elisabetta Martorana (Emilia), Matteo Mezzaro (Cassio), Mattia Denti (Lodovico), Matteo Ferrara (Montano), Nicola Nalesso (l'araldo). Un po' meno Antonello Ceron (Roderigo).

Myung-Whun Chung ottiene dall'orchestra veneziana un contesto strumentale di alta qualità: sonorità rilucenti, nitida varietà dei colori; i tempi appaiono rigorosi e controllati, ma non a discapito di un irruente spirito narrativo. Si avverte però qualche scollamento con il palcoscenico, anche perché stranamente – rispetto all'Otello di qualche anno fa – il maestro coreano lascia troppa briglia ai cantanti, senza incanalarne l'interpretazione in una concezione unitaria. Ineccepibili le prestazioni dei due cori: quello de La Fenice ed i Piccoli Cantori Veneziani.


Sotto il segno del Leone, di Venere, dell'Idra

Lo spettacolo impostato da Francesco Micheli e dai suoi collaboratori - Edooardo Sanchi per le scene, Silvia Aymonino per i costumi - gioca sulle rappresentazioni mitologiche: sono i segni dei protagonisti, raffigurati – come nelle antiche mappe celesti - sulla volta del palcoscenico e sul grande cubo rotante che, al suo interno dal sapore moresco, ospita di volta in volta la stanza nuziale, una cappella,una fumeria orientale.

Davanti, poche brande ed ecco l'affollata camerata dei marinai veneziani che rimpiazza la taverna del primo atto. La regia scorre pregnante, razionale e veloce, a rapidi cambi a vista, con uso sapiente di simboli – come i modellini di navi d'ogni colore che spuntano spesso in scena – e dei mimi cinerei che, circondando Otello, rappresentano l'attivarsi del Male. Gli abiti ci calano in un ambiente marinaresco di fine Ottocento dove la diversità fisica del Moro è resa solo dalla divisa. L'unica tutta nera, in un mare di uniformi bianche ed azzurre.

Visto il 26-03-2019
al La Fenice di Venezia (VE)