Cristina Mazzavillani Muti – ideatrice dell'intera operazione - ha voluto elogiare pubblicamentel'Orchestra Giovanile Cherubini e farla applaudire insieme agli interpreti.
Con la terza recita di Otello si chiude al Teatro Alighieri di Ravenna la Trilogia d'autunno 2018, che comprende pure Nabucco e Rigoletto. Un compito immane per l'Orchestra Giovanile Cherubini, che al termine di due lunghi mesi di prove, sotto tre direzioni differenti, si è presentata nel golfo mistico ben nove volte in dieci giorni.
Per questo, Cristina Mazzavillani Muti – ideatrice dell'intera operazione - ha voluto elogiarla pubblicamente all'epilogo di questo lungo sforzo, e farla applaudire insieme agli interpreti. Lodi ben meritate, spettanti di diritto a questi giovanissimi e validi musicisti.
Poche distrazioni per lo spettatore
La scena di questo Otello è visivamente essenziale, sovrastata da un'alta scalinata scura dove appaiono minimi oggetti d'arredo, quali lo scanno dorato del Moro oppure il candido letto nuziale. Dominano ovunque il rosso ed il nero: il primo fiammeggia anche nel grande stendardo recato in trionfo; ed un mantello purpureo avvolge, sopra le nere vesti, il fiero condottiero di Venezia. Così spiccano in scena le bianche, seriche vesti di Desdemona, a simboleggiare il candore e l'innocenza d'una vittima sacrificale.
Non essendo distratta da troppe immagini, l'attenzione dello spettatore si focalizza sul tragico sviluppo dei fatti; e qui saggiamente la regia della Mazzavillani Muti punta subito sulla bravura attoriale degli interpreti e del coro, mai mosso a caso. Ognuno è spinto ad esprimersi con verosimiglianza, curando con massima attenzione ogni gesto ed ogni frase, senza mai perdere di vista il fluire della musica.
Tre debutti per le parti principali
Tre i debutti, e nei ruoli principali: vediamoli subito. Mikheil Sheshaberidze rende a dovere i tormentati tratti caratteriali di Otello, e ne risolve abilmente la fulminea disgregazione psicologica. Quanto alla voce, mette a frutto invidiabili doni di natura – bellezza timbrica, suoni limpidi e squillanti, soprattutto nel registro centrale prodigo ed espansivo – e riesce a scansare le insidie d'un fraseggio altisonante e retorico. Elisa Balbo è molto giovane – beata lei – e quindi in scena rende perfettamente l'essenza angelicata di Desdemona; e se pur la voce non fa gridare al miracolo quanto a spessore e potenza, canta con giusta proprietà di stile, buona finezza di colori e sopra tutto squisito abbandono lirico. Jago è un personaggio mefistofelico, che suscita in Otello un'attrattiva ipnotica; in fondo, è lui il vero protagonista del dramma shakespeariano. Luca Micheletti lo avvicina di slancio e con veemenza, sostenuto da una generosa colonna di fiato. Padroneggia agevolmente le zone centrali ed acute – spigliato il Brindisi, perentorio il Credo – e viene a capo senza problemi della temibile tessitura.
Nondimeno, restano da approfondire meglio il fraseggio generale, nonché certe piccole sfumature di colore e di carattere; annotazioni che rendono così ricca e imponente tale figura che senza dubbio gli sarà richiesta ancora. Funzionano a dovere tanto il Cassio di Giuseppe Tommaso, quanto il Roderigo di Giacomo Leone. Anche i personaggi minori si disimpegnano bene: e sono l'ottima Emilia di Antonella Carpenito, il Lodovico di Ion Stancu, il Montano di Paolo Gatti, l'araldo di Andrea Pistolesi.
Direttore, orchestra, coro al top
Se l'Orchestra Cherubini regge bene questa temibile partitura, è merito anche di Nicola Paszowski, che con essa ha confidenza consolidata nel tempo. La sua è una direzione molto ragionata e calibrata, tutta giocata su sonorità asciutte, metalliche e cangianti, e su tempi rapidi ed incalzanti (la Tempesta procede rapinosa su suoni taglienti, il «Fuoco di gioia» incanta anche grazie al buon Coro Lirico Marchigiano); ma che nondimeno trova modo di lasciarsi andare nell'avvolgente estasi lirica di «Già nella notte densa».