La musica della radio, banale, ossessiva, disturbata, sempre uguale, in una sala buia. Nella penombra due uomini, due uomini qualunque, in attesa di qualcosa. Al centro una bara di legno, lugubre, unico arredo di una stanza che alla luce ci appare spoglia di tutto, eccezion fatta per la bianca porta che, da un lato porta verso un non ben identificato esterno.
Così ha inizio la nuova produzione della Compagnia del Tratto di Palermo, “OUMINICCH'”, scritta da Rosario Palazzolo e diretta ed interpretata dallo stesso autore con il bravissimo Anton Giulio Pandolfo.
Va detto subito che qualsiasi riferimento ad autori quali Beckett, Pinter, Saramago, Orwell, Kafka o Ionesco è solo una semplificazione per chi scrive e giudica per spiegare quelle che sono la tematica ed il linguaggio di Palazzolo, un personalissimo punto di vista sulla società umana e la sua omologazione, costretta da regole non scritte ad adeguarsi ad una massificazione violenta e sleale, in cui la vita perde ogni suo significato e valore, per ordine di un ente superiore che ordina l’annullamento totale della volontà, attraverso riti inspiegabili ed inaccettabili, a coloro che tentano, purtroppo inutilmente, di disobbedire.
Palazzolo ci abituati con i suoi precedenti copioni, “Il Fatto Sta”, “Ciò che accadde all’improvviso”, con i suoi racconti e con il suo romanzo di esordio “L’Ammazzatore”, di recente pubblicazione, a non farci ingannare dalle apparenze: il linguaggio siciliano, la scontata denuncia alla mafia, il folklore di certe immagini ironiche, tutto ciò sono solo pretesti per farci trascinare dalle sue storie visionarie e senza speranza.
In scena i due attori danno prova di affascinante capacità affabulatoria, i buffi alterchi dei loro personaggi, simboli dell’anonimato del singolo (tant’è che sono identificati non da nomi da numeri) lasciano senza fiato lo spettatore che si fa trascinare dall’avvincente e misterioso taglio narrativo della commedia (ma qui la definizione di Commedia, come per tutto ciò che riguarda la piece in questione, è forzata, potremmo parlare di Dramma, Tragedia, Satira, senza tema di sbagliare ma con la convinzione di non essere stati completi).
A noi non resta che dire, per non anticipare nulla della trama, che si tratta sicuramente di una delle più complesse messe in scena del gruppo palermitano, per la ricercatezza del linguaggio (un palermitano “vero”, non mediato ed annacquato dall’italiano, e non per questo meno comprensibile), per l’asciuttezza delle interpretazioni, per il rigore registico e perchè, è bene dirlo, si ha davvero bisogno di una drammaturgia contemporanea che non utilizzi ne’ il linguaggio filo-televisivo di alcune commedie moderne, ma che nemmeno ci riporti ad una finta sperimentazione vintage, tanto di moda oggi, bensì ci parli con disincanto ed ironia di noi stessi, uomini, anzi “ouminicch'”, costretti alle regole della nostra società malata, alla quale possiamo ribellarci solo grazie alla consapevolezza che un’operazione simile ci potrà far acquisire.
Visto il
al
San Pietro in Vincoli Zona Teatro
di Torino
(TO)