Padam, Padam... Piaf ovvero, come recita il sottotitolo, Musica, Teatro, Danza e Poesia in una visione gestuale ispirata all'incanto della voce di Edith Piaf e alla sua "Vie en rose", è uno spettacolo di danza moderna dall'approccio tradizionalista che vede impiegare la danza non già per tradurre in coreografia emozioni e sentimenti ma per comporre
dei quadri sulla vita di Edith Piaf accomunati da insistite chiuse dei ballerini in posa, le braccia arrondies, in prima o in terza posizione.
Questi quadri di contenuto sono didascalici fino l'inverosimile ("Le tre campane" Simbolo del ciclo della vita: la nascita, il matrimonio, la morte. Suonano, queste campane, nel villaggio in fondo alla valle... anche per gli emarginati come si legge per uno dei quadri sul programma di sala) sfoggiando un profluvio di ovvietà: i costumi francesi anni quaranta,
comprese le classiche maglie a righe e i baschi alle ventitré, i clochard e le cocotte insistendo sulla vita privata della cantante tralasciando elementi importanti della suo agire artistico (come l'aver cantato, durante la guerra, nei campi di prigionia). Evidentemente a Sonia Nifosì, la quale, in un delirio di egocentrismo, firma Ideazione, Testi, Realizzazione, Coreografia e Regia dello spettacolo, le canzoni di Edith Piaf non interessano minimamente. Infatti sono poco più che un pretesto, un tappeto sonoro, per le coreografie: di nessuna canzone ci viene spiegato il testo, di nessuna ce ne viene presentata l'importanza nell'arco della produzione discografica della cantante. Tutto è piegato alle esigenze di una sorta di fiction coreografica che sottolina soprattutto i momenti della vita di Edith che più ricordano i cliché dell'artista maudit e sfortunata. Proprio a causa di questo approccio didascalico le coreografie non spaziano mai su vari registri coreutici ma rimangono incentrate su pochissime idee di movimento, al punto tale che i ballerini sembrano a volte muoversi sul palco spaesati, come se non sapessero bene cosa fare, come agire, dove andare, avendo l'impaccio di mostrare i costumi che indossano più che sviluppare un movimento di danza coerente. Più che danzatori sembrano marionette nelle mani della coreografa che ha per i suoi ballerini poco riguardo. Sonia impone al suo primo ballerino, il bravo e promettente Davide Nardi, un imbarazzante costume da passerotto col quale impersonare lo spirito di Edith Piaf. Come si possa pensare a Edith, minuta, fragile, e magrissima, come vuole il
clichè, vedendo un giovane nudo, tranne un sospensorio e un calzoncino scosciato bianco e semitrasparente, con delle piume sul petto e una sorta di cresta sulla testa, è un mistero imperscrutabile. Lo spettacolo si apre con Davide così conciato gettando sconforto e raccapriccio dai quali difficilmente si riesce a risalire.
Non contenta Sonia Nifosì impone l'improponibile costume in altri quadri (ma le piume cambiano di colore...) e anche in chiusura il povero Davide è costretto a prendere gli applausi così malvestito.
Per uno dei quadri finali, poi, la coreografa, totalmente priva del senso del ridicolo, fa ballare Davide/Edith con un impacciato Vincenzo Peris, che impersona l'ultimo giovane amante della cantante: immaginatevi due giovani ballerini, con la classica postura della danza moderna che si avvinghiano, seminudi, mentre uno porta l'altro (per giunta vestito da pollo!). Qui si mostra
tutto il limite della fantasia coreografica di Sonia Nifosì. Ben altre coreografe fanno ballare tra loro due ballerini ma lì c'è una coreografia che sostiene i danzatori, qui c'è solo il ridicolo a dissimulare l'imbarazzo dei due giovani ballerini.
Non ci fraintenda il lettore, i danzatori e le danzatrici sono bravi anche se a diversissimi livelli di preparazione l'uno dall'altra, ma l'idea di danza che ci propone Sonia Nifosì non contempla l'occasione di dare modo ai suoi ballerini di esprimersi ma solo di assecondare la sua visione della vita. Ci sono a dire il vero alcune eccezioni. Molto efficace è il quadro che vede una ballerina interpretare la menomazione fisica danzando sul bordo di una sedia a rotelle dalla quale cerca di distaccarsi tornando ogni volta inesorabilmente a sedervisi, così come ben confezionate sono le coreografie "americane" (quando Edith va in tournée negli States), ma sono pochi momenti di uno spettacolo di danza che non decolla mai veramente.
Padam, padam.. Piaf! più che servire lo spettatore, o la danza, o i ballerini (le ballerine), serve l'ego immenso di Sonia Nifosì, che alla fine dello spettacolo viene a prendersi l'immeritato applauso più con l'atteggiamento da Vamp che con quello da coreografa.
Roma, Teatro dell'Angelo, dal 27 Marzo al 5 Aprile 2009
Visto il
al
Dell'Angelo - Sala Grande
di Roma
(RM)