Con grande fatica, ma con altrettanta consapevolezza nella necessità di fare attenzione ad ogni singolo dettaglio di costo, il Teatro Regio di Parma tenta di risalire dall’abisso di una grave crisi finanziaria. Il management team, composto da Carlo Fontana (amministratore esecutivo - l’equivalente del sovrintendente) e dal direttore artistico Paolo Arcà, è dotato di grande competenza ed esperienza, sia gestionale che artistica; ed è esattamente ciò che serve oggi al Regio per risalire gradatamente la china.
Ad onta di questa difficile congiuntura, l’inaugurazione della stagione si rivela comunque piacevole: l’insolita abbinata Pagliacci/Gianni Schicchi funziona bene, almeno sul piano teatrale. Il cinema neorealista per Pagliacci e la commedia all’italiana per Gianni Schicchi sono alla base della concezione registica di Federico Grazzini, che nel contesto italiano dal dopoguerra fino agli anni ’70 individua il filo rosso del dittico. Nella prima scena del capolavoro di Leoncavallo siamo in una piccola stazione ferroviaria di provincia: l’arrivo della compagnia di Canio, che scende da un vagone di terza classe, viene salutato con grande entusiasmo da tutto il paese in festa, sindaco e prete compresi. All’epoca (e per molti anni ancora) la visita di una compagnia teatrale, ancorché scalcinata, faceva figura di vero e proprio evento nell’ambito della routine dei giorni tutti uguali. La scena tra Nedda e Tonio, il duetto con Silvio e l’irruzione di Canio si svolgono nel camerino minuscolo e squallido di Nedda. Ci si ritrova infine nel teatro vero e proprio, dove si compie il “femminicidio”. Recitazione intensa e curata da parte di tutti e spettacolo che scorre con grande naturalezza. Gianni Schicchi è ambientato invece nella stanza da letto tetra e claustrofobica di Buoso Donati. Il contrasto tra la “gente nova” incarnata dal rustico ma arguto Schicchi e la ricca ma gretta (ed anche scarsamente acuta) borghesia cittadina trova in quest’allestimento una rappresentazione efficace, grazie anche ad una direzione degli attori dettagliata e pertinente.
Note meno positive vengono dall’esecuzione musicale. Francesco Ivan Ciampa è un giovane direttore con un buon senso del teatro e con una lodevole propensione alla ricerca delle sfumature. A tratti, però, il risultato non è all’altezza delle intenzioni: l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna non sempre offre un suono morbido e scorrevole. La tessitura centrale di Canio conviene abbastanza ai mezzi residui di Marcello Giordani, tenore di grandi potenzialità, frustrate però nel tempo da una tecnica mai coltivata a sufficienza. Gli acuti sono voluminosi più che squillanti e nel resto della gamma si odono alcune sbavature di intonazione; ad onta di tutto ciò, il suo è un Canio tutto sommato accettabile in siffatto contesto teatrale. Anche Kristin Lewis fa valere un’ottima presenza scenica, ma il canto lascia molto a desiderare, considerata anche la relativa facilità del ruolo. Elia Fabbian incarna un Tonio scenicamente sinistro e odioso, ma anche nel suo caso emergono flagranti limiti vocali in zona acuta, dove la voce si stimbra e perde rotondità. Discreti il Silvio di Marcello Rosiello e il Peppe di Davide Giusti. Nel ruolo del titolo di Gianni Schicchi ritroviamo Elia Fabbian, ugualmente incisivo sul piano scenico ma vocalmente più a suo agio. Ekaterina Sadovnikova è una Lauretta gradevole; il Rinuccio di Davide Giusti mostra un po’ la corda in un ruolo ovviamente più impegnativo del Peppe di Pagliacci. Nella ben assortita famiglia Donati svetta la spassosa Zita di Silvia Beltrami.
Lirica
PAGLIACCI / GIANNI SCHICCHI
Pagliacci nel dopoguerra
Visto il
al
Regio
di Parma
(PR)