Lirica
PAGLIACCI

Firenze, teatro Comunale, «Pa…

Firenze, teatro Comunale, «Pa…
Firenze, teatro Comunale, «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo PAGLIACCI KOLOSSAL Dopo oltre vent’anni torna a Firenze Franco Zeffirelli con una nuova produzione di Pagliacci, opera di cui ha curato nel tempo diverse produzioni per il teatro ed il cinema, ma titolo poco presente nella programmazione del Maggio, tradizionalmente orientato verso un repertorio meno popolare. Contrariamente alla consuetudine di rappresentarla con un’ altra opera breve, è stata qui preceduta da intermezzi sinfonici tratti da opere veriste più o meno note: L’amico Fritz, Il sogno di Ratcliff, Cavalleria Rusticana di Mascagni e Manon Lescaut di Puccini. La scelta risulta plausibile in quanto, oltre a mettere in rilievo la capacità sinfonico-descrittiva della Giovine Scuola Italiana proponendo pagine di trascinante forza melodica ormai scomparse dal repertorio, prepara l’atmosfera musicale per l’opera che segue, facendone risaltare l’intensità drammatica ed evitando la sovrabbondanza emozionale che l’abbinamento con un altro titolo “forte” inevitabilmente pone. Fedele alla cifra stilistica di Zeffirelli, lo spettacolo è tradizionale e didascalico, molto curato nell’aspetto esteriore e con un sicuro dominio del movimento scenico dei singoli e delle masse, anche se, per la prima volta nella carriera, il regista attualizza la vicenda per sottolineare il fatto di cronaca e la programmatica modernità dell’opera di Leoncavallo. Un’attualizzazione però talmente filtrata dai ricordi, dalle precedenti produzioni del regista e da un certo modo di fare teatro che in realtà si respirano atmosfere d’altri tempi. Quando si apre il sipario l’occhio rimane colpito da una scena talmente bella, colorata e superaffollata che il verismo diventa kolossal: lo scorcio di una piazza di una solare cittadina del sud popolata di varia umanità al limite del bozzettismo enciclopedico tra il “Bar Centrale” e le case di ringhiera panni stesi e televisori sempre accesi. Acrobati, saltimbanchi, giocolieri, pagliacci sgargianti si confondono con trampoli, acrobazie e piroette fra la folla, marinai e prostitute, ragazzotti in vespa, sposi che fanno foto ricordo con i parenti, carabinieri e travestiti, paesani di ogni età e condizione sociale: essi danno vita a scenette di vita quotidiana in un’esplosione di colori e movimento che non potrebbe meglio introdurre la festa collettiva, dove arriva una troupe a bordo di un camper pittoresco che spara coriandoli e palloncini colorati (e scatta l’applauso del pubblico). Solo per poco la scena si svuota perdendo luci e colori per mostrare lo squallore di una periferia notturna poi coperta dai grandi manifesti circensi con l’enorme faccia di un clown calato dall’alto per tappezzare lo sfondo, per riaffollarsi subito dopo per la rappresentazione della commedia. Zeffirelli ha talento nel muovere le masse e abbozzare piccole storie con fluidità e naturalezza, ma dando tanto rilievo alla cornice compromette la violenza della scena finale che, annegata fra le centinaia di comparse, perde in pregnanza drammatica. Salvatore Licitra, se pur indisposto, è stato un protagonista coinvolgente e la sua prova vocale, dopo qualche forzatura iniziale, è andata in crescendo. grazie a una voce salda ed adatta al ruolo, dall’espressività incisiva e al tempo stesso sobria, che ha il suo momento migliore in un “No, pagliaccio non son“ serrato, drammatico, ma soprattutto naturale. Amarilli Nizza è scenicamente gradevole e dalle buoni doti attoriali, ma ha un timbro un po’ secco per fare risaltare tutta la sensualità ed intensità espressiva di Nedda e, pur piegando la voce con duttilità alle esigenze della partitura, lascia un po’ freddi, anche se ci sono momenti di maggiore coinvolgimento come l’ ottimo duetto con Silvio all’insegna del lirismo e della malinconia. Merito di Luca Salsi, un Silvio garbato e partecipe che si è distinto per la morbida voce baritonale, lirica e vibrante. Silvio Zanon,che ha sostituito Seng –Hyoun Ko in quasi tutte le recite, dopo un Prologo non perfettamente a fuoco, migliora da un punto di vista espressivo e vocale scolpendo un Tonio incisivo come vuole la tradizione, dalla corporatura immensa particolarmente adatta per suggerire un personaggio ruvido e inquietante. In Peppe (Arlecchino) Mark Milhofer dimostra buona verve e agilità scenica, ma, penalizzato da una dizione imperfetta, non dà la giusta rotondità alla serenata. Patrick Fournillier offre una direzione dalle sonorità curate e precise (un plauso va all’orchestra del Maggio che conferma grande affiatamento e bellezza di suono nelle pagine sinfoniche come nell’opera), con una lettura che sembra guardare più alle raffinatezze liriche della musica francese di Thomas e Massenet che non ai tumultuosi turgori orchestrali “veristi”, col risultato di un’esecuzione all’insegna dell’omogeneità ma poco caratterizzata e trascinante. L'ottimo coro preparato da Piero Monti ha contribuito al buon livello musicale della produzione. Buon successo da parte di un pubblico che ha gradito lo spettacolo tributando calorosi applausi a tutti gli interpreti. Visto a Firenze,teatro Comunale, il 17 Febbraio 2009 Ilaria Bellini
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)