Finalmente una serata di festa al Carlo Felice, che, dopo un periodo particolarmente difficile, inaugura la stagione 2011con il fortunato allestimento di Pagliacci di Franco Zeffirelli che torna a Genova dopo un’assenza di oltre 40 anni e per l’occasione è stato insignito del prestigioso premio “Grifo d’oro“, la più alta onorificenza cittadina.
Nel corso della lunga carriera Franco Zeffirelli ha più volte affrontato i Pagliacci, opera di cui ha curato numerose produzioni per il teatro ed il cinema, e, rivedendo lo spettacolo, curatissimo da un punto di vista visivo e assolutamente fedele alle intenzioni del compositore, bisogna ammettere che si tratta di una produzione “cult” capace di sedurre anche i detrattori dello “zeffirellismo”, perché ha una comunicativa così immediata che non appena si apre il sipario il pubblico scatta in un applauso gioioso e incontrollato come quello di un bambino nel paese dei balocchi.
Dopo il prologo, il sipario si scosta e appare una piazza di periferia di una dimessa cittadina del sud affollata di varia umanità e riconosciamo l'abilità del regista fiorentino nel muovere con precisione e naturalezza le masse che nell’affresco corale acquisiscono individualità specifiche. Personaggi circensi (acrobati, saltimbanchi, giocolieri, pagliacci e una simpatica donna cannone) si mischiano con le loro acrobazie alle microstorie di una folla variegata (ragazzotti in vespa, scene da un matrimonio, carabinieri e prostitute, marinai, mamme e bambini) colta nella vita quotidiana.
Particolarmente efficace quanto avviene in secondo piano nella casa di ringhiera sullo sfondo, dove, fra panni stesi e televisori sempre accesi, vediamo donne stirare sui ballatoi per fuggire alla calura estiva o muratori al lavoro che gettano uno sguardo distratto a quanto accade sulla piazza: qui arriva, in una progressione di attesa e colore, la roulotte scalcinata dei pagliacci.
La scena si svuota perdendo le sue luci e davanti allo squallido e polveroso caseggiato vediamo il retro della roulotte dove Nedda, scalza e dimessa in uno stinto vestito di cotonina, colta in uno squarcio domestico, lava a pezzi un bambino con un secchio di latta, secchio che scaglierà poi contro Tonio, reo di voler distruggere il sogno d’amore.
Durante “Vesti la giubba”, in una scena buia e degradata efficace per rendere l’amarezza e il disincanto del protagonista, stendardi con facce di clown tappezzano come un puzzle ossessivo e inquietante i ponteggi.
La commedia è risolta in modo convenzionale e abbonda di vivacità e colore, ma si apprezza l’interazione delle masse con quanto avviene sul piccolo palcoscenico e il palpabile serpeggiare dell’inquietudine fra il pubblico rende più forte il meccanismo di teatro nel teatro.
Alla fine spetta giustamente a Tonio, anziché a Canio come vuole certa tradizione, chiudere l’opera pronunciando con il sarcasmo di un serpente la frase “la commedia è finita”.
Una piacevole scoperta è l’intensa Nedda della giovane cantante spagnola Maite Alberola, che convince per la voce estesa e sicura capace di reggere lo scarto drammatico nelle pagine più veementi, ma anche di abbandono e ripiegamento malinconico. Antonello Palombi ha tutta la solidità vocale che la parte di Canio richiede, ma l’emissione poco fluida compromette talvolta la nitidezza del canto; apprezzabile la ricerca espressiva, in particolare in un “ Vesti la giubba” intenso e asciutto, senza inutili singhiozzi. Juan Pons ha spesso affrontato il ruolo di Tonio e ancora una volta s’impone per il carisma scenico e un’intelligenza interpretativa che rende il guitto deforme particolarmente diabolico; il cantante è apparso in ottima forma e ha convinto il pubblico per la voce vigorosa e l’incisività del fraseggio. Molto bene il Peppe di Manuel Pierattelli, non sempre a fuoco il Silvio di Domenico Balzani.
Pieno consenso per Fabio Luisi, che è riuscito a ottenere, nonostante le poche prove a disposizione, un ottimo risultato da parte dell’orchestra apparsa precisa e compatta. Una direzione equilibrata nei rapporti fra buca e palcoscenico, ma non per questo meno drammatica e vibrante, che ha consentito al canto il giusto respiro. Applausi per l’intermezzo dai tempi distesi, che hanno fatto scaturire tutta la bellezza di suono dello strumentale. Qualora diventasse Fabio Luisi direttore musicale, per il Carlo Felice sarebbe una garanzia di svolta.
Una nota di merito per l’impegno e la coordinazione al coro del Carlo Felice diretto da Marcovalerio Marletta e al coro di voci bianche preparato da Gino Tanasini.
Un plauso anche a mimi e saltimbanchi fondamentali per la riuscita dello spettacolo.
Grande successo per tutti, cantanti, direttore ed in particolare per Franco Zeffirelli, a cui un pubblico eterogeneo e commosso (fra cui molti giovanissimi e scolaresche) ha tributato una lunga standing ovation, durante la quale il regista ha preso il microfono per ricordare i suoi esordi a Genova in un teatro fra le macerie. E la serata, partita con buoni presupposti, supera ogni aspettativa e, nella commozione collettiva, la città appare finalmente vicina al suo teatro nel momento del rilancio. Una standing ovation per il Carlo Felice.