Prosa
PALI

Pali: una favola comica dal gusto amaro.

Pali: una favola comica dal gusto amaro.

Una comica malinconia dai toni stridenti alloggia dentro una scenografia (di Lino Fiorito) tipicamente beckettiana, dove una situazione immobile senza tempo e spazio racchiude le parole incisive del testo di Scimone, mentre la condizione mentale dei protagonisti è dettata e scandita dagli spostamenti o non-spostamenti dei corpi degli attori sul palco.

I personaggi di Pali sembrano le icone di un mondo diviso in due tra i coraggiosi e i fragili, i forti d’animo e i titubanti, i giusti e gli ingiusti. Sulla scena si impongono tre pali su uno sfondo bicromatico in una visione globale dove, tra abiti di scena e retro, prevalgono i colori caldi. Due Estragone e Vladimiro (Francesco Sframeli e Spiro Scimone) beckettiani portati alla nostra epoca, abitano fisicamente e letteralmente due pali, discorrendo del più e del meno di ogni giorno con i botta e risposta tipici del teatro dell’assurdo. Quello che vedono (o vorrebbero vedere) dall’alto dei pali è un mare bellissimo, ma ahimè probabilmente è solo frutto di immaginazione: in un vero mare dovrebbero esserci le barche! Sotto di loro non c’è nulla, anzi c’è “merda”. L’atto del salire o scendere dai pali è una condizione imprescindibile per sopravvivere a un senso di vuoto incolmabile, strettamente connaturato all’ontologia dell’esistenza. I toni comici sono accentuati dal cantilenante accento messinese degli attori e preceduto da pause più o meno prolungate e silenzi accattivanti, utili a creare il ritmo del dialogo. Refrain verbali come la domanda “Che fa?” o l’evocazione “Padre..!” di un Godot che non risponde mai, conferiscono alla pièce un accento divertente, allo spettacolo l’aspetto di una favola comica dal sapore amaro.

Sulla scena irrompono altri due personaggi clowneschi (Gianluca Cesale, Salvatore Arena). Si tratta di due musicisti e amici inseparabili, che vorrebbero “cambiare musica”, ma che non riescono a “fare l’uovo”. Il testo si arricchisce gradualmente di riferimenti metaforici: “cambiare musica” come cambiare vita, “fare l’uovo” fisicamente come sentirsi realizzati, “fare la fila” e “passare i controlli” come negazione di libertà fisica e mentale, l’atto di “ripararsi con l’ombrello” come l’atto di proteggersi da una pioggia di cui non si conoscerà mai l’entità, dove pioggia è il correlativo oggettivo dell’inaspettato. I due amici non riescono a fare il grande salto: salire sul palo. Così provano a raccontare barzellette che non fanno ridere a nessuno e narrano della loro vita di stenti.

Anche in questo testo Pali, come in tanti altri della Compagnia Scimone Sframeli, i personaggi vengono delineati a due a due, coppie di personaggi diventano le facce di una stessa medaglia in perfetto stile beckettiano. La relazione solida tra i personaggi crea la forza per sopravvivere a un mondo dominato dall’apparenza, la falsità e il vuoto. La concretezza del nucleo drammaturgico di forte potenza semantica si unisce a delle vere e proprie “prese di posizione” dei personaggi. I primi due decidono di non scendere mai più dai pali, mentre i due musicisti decidono di salire su un palo (che dovranno condividere!). Ma cosa significa salire sui pali? Vuol dire essere autentici, non rinunciare a sè stessi, non aver timore di esporre i propri pensieri e soprattutto non dover fare la fila, ma “entrare” senza impedimenti.

Pali è uno spettacolo delineato da ritratti poetici, da una raffinata comicità, dalla potenza del testo cadenzato da un perfetto ritmo scenico e dialogico, da un orizzonte di riflessione che fa sognare l’idea di un’umanità migliore dentro un futuro incerto.

Visto il 15-04-2016