Danza
PANE, AMORE E... ALESSANDRO PINTUS AGLI ITALIOTI

Mai come in questo caso senti…

Mai come in questo caso senti…
Mai come in questo caso sentiamo le parole del tutto inadeguate a rendere giustizia allo spettacolo di Alessandro Pintus Pane, amore e... il cui sottotitolo recita Alessandro Pintus agli italioti. Una coreografia composita e complessa eppure di immediata comprensione per lo spettatore che vi assiste, perché, per citare le parole del suo coreografo la danza è un linguaggio universale ed immediato, un modo per confrontarsi, comunicando al di là del verbale, che muta con i tempi dell'uomo, aprendo la consapevolezza ad una dimensione nuova e più estesa di significati. Quello che sorprende dello spettacolo è la capacità della coreografia mentre si presenta con un preciso impianto coreutico che ha un valore estetico di per sé sa al contempo accedere a una serie di significati più estesi. Di tutte le coreografie presentate finora nella rassegna D10 Pane, amore e... è quella che riassume al meglio le vie percorse singolarmente dalle coreografie precedenti. C'è chi fa della danza un puro geroglifico visivo, magari d'alto impatto emotivo, ma inintelligibile nel suo essere anche un discorso, e chi invece pone la danza, fermo restando la ricerca estetico-coreografica, al servizio di un discorso. Alessandro Pintus pratica entrambe le vie senza confonderle o sovrapporle. Partendo dal suo percorso di danzatore che si è avvicinato alla danza Butoh, Pintus costruisce lo spettacolo su tre momenti. Nel primo, dopo l'assordante orda di un gregge che sentiamo belare nel buio del teatro, emerge da una luce tenuissima il teschio di un caprone, al di sotto del quale spuntano due gambe (quelle di Pintus ovviamente). Il teschio è posto sull'inguine, e, al di sotto suona un campanaccio, mentre con le scarpe con la suola di legno le due gambe scalciano, scalpitano, fan rumor di zoccoli. Pintus è supino, il bacino rialzato, il busto e la testa piegati all'indietro, di modo che lo spettatore vede solo un teschio di capro ...e due gambe. Quando, con l'evolversi della coreografia, il danzatore guadagna (ma mai completamente e per troppo tempo) una posizione eretta capiamo il trucco: il busto è coperto di un vello nero, la testa di un velo che la fascia completamente, e, nel buio degli inizi, non si percepivano. Nei momenti in cui il danzatore guadagna la posizione eretta le corna del capro assumono una doppia sembianza fallica, ma poi il danzatore, perdendo il precario equilibrio, cade, e il teschio assume la doppia figura del capro e di Priapo mai volgare ma affascinate e ipnotico. Nel secondo quadro il danzatore, di spalle al pubblico, sulla parete di fondo bianca, accenna dei movimenti di danza prima da marionetta che si esibisce stupita e indolente poi sempre più aggravata, perturbata, nervosa. Senza musica, danza al solo ritmo dei suoi passi militareschi, mentre dei riflettori rossi, da varie posizioni, proiettano sul muro diverse ombre ora moltiplicando ora cancellando le ombre del danzatore, che si rivela essere un garibaldino pluridecorato (lo scopriamo solo quando si gira verso il pubblico). Il quadro finale vede Pintus nei panni di un calciatore della nazionale di cui mima vezzi e vizi, le gambe flesse, le parate spettacolari, i finti falli autoinferti, mentre gioca con un pallone da spiaggia che ha gonfiato a inizio quadro, mentre era ancora supino. Sui suoi movimenti suonano le note di Mambo italiano di Rose Mary Clooney, e il calciatore diviene un agitatore di bandiera (un vulcano in eruzione, ricamato di rosso su un drappo nero) il cui rumore, finito il pezzo musicale, suggellerà lo spettacolo come unico suono, mentre Pintus finisce a terra con la bandiera a coprirlo come un lenzuolo. I tre quadri sono complessissimi e richiedono una precisione non solo fisica ma anche coreografica, ogni movimento è la necessaria conseguenza di quello precedente. E dopo la visione, mentre si riflette ancora sulle coreografie viste emerge chiaro nella mente di ogni spettatore il discorso che Pintus ha fatto esprimendo il suo malessere nel constatare come le genti italiche (noi) unite in un solo popolo da una necessità che si voleva imprescindibile a distanza di quasi 150 anni non sono affatto uniti se non nei momenti radi e semplicistici del tifo nazionale. Pane, amore e... è uno spettacolo incredibile che sa coniugare mentre si fa danza sguardo antropologico (il quadro del capro) con quello storico-sociale-politico. Politico come quando Pintus, uscito un'ultima volta per prendersi gli applausi, indossando una t-shirt con la faccia di Garibaldi, informa gli astanti che al teatro-centro sociale Rialto, dove Pane, amore e... è stato presentato nel maggio del 2008, sono stati posti i sigilli dalla polizia e che Roma ha uno spazio in meno per ospitare la scena indipendente, come sta facendo il Furio Camillo organizzando (pur con i pesanti tagli al Fondo Unico dello Spettacolo) un'importante e riuscita rassegna di danza contemporanea. Roma, Furio Camillo, 21 marzo 2009
Visto il
al Furio Camillo di Roma (RM)