Prosa
PAROLE INCATENATE

Le infinite varianti del gioco al massacro

Le infinite varianti del gioco al massacro

Un serial killer consapevole dei suoi atti che chiede aiuto alla sua diciannovesima vittima, una psicologa rapita e costretta a vedere, in un cinema abbandonato, i video diari degli omicidi da lui commessi, traccia intenzionale lasciata al fine di una diagnosi psicanalitica. Questo l'incipit di "Parole incatenate", thriller dalle molte sfaccettature e dai molti significati del drammaturgo catalano Jordi Galceran.

Il gioco psicologico delle parole incatenate, cui il carnefice obbliga la vittima, è l'inizio di un dialogo serrato che destabilizza continuamente lo spettatore, cambiando i ruoli dei protagonisti, svelando un passato di bugie e incomprensioni tra i due e facendo intravedere svolte salvifiche, ogni volta smentite da cambi improvvisi di registro. La crudeltà e l'inganno permeano tutta la vicenda e l'angolazione da cui appaiono i fatti cambia in continuazione, mutando l'opinione e l'apparente natura dei personaggi. Ogni verità è illusoria e solo il finale darà una giusta visione dei fatti pregressi, insieme alla perenne inquietudine circa la cattiveria, la gratuità del male e le distorsioni che la mente opera sulla realtà.

La regia di Luciano Melchionna alterna le proiezioni dei video diari dell'omicida, su uno schermo lacero da cinema fatiscente, alla rappresentazione violenta e tesa allo spasmo di un universo psicotico e contorto, dove i rapporti sono malati e le regole ossessive prendono il posto di ogni ragionevolezza.

Intense ed estremamente drammatiche le interpretazioni dei protagonisti. Francesco Montanari passa dal sadismo più feroce al ruolo di vittima incompresa con una rapidità che costringe lo spettatore a rivedere in continuazione il punto di vista sulla vicenda. Il suo personaggio è complesso ed è il motore di una tensione che non cede neppure per un attimo, imponendo attenzione e continuo adattamento mentale. Claudia Pandolfi convince sia quando impersona la paura immobilizzante, con una postura dimessa e la difficoltà concreta a parlare e a camminare, sia quando, riacquistata sicurezza e speranza, si indigna o crede di riconoscere una soluzione possibile.

Ottima la scelta del testo, complesso e sconvolgente come solo la mente umana in tutte le sue deviazioni può esserlo, e molto ben riuscita la trasposizione serrata e claustrofobica. Meritevole di nota anche la scenografia, che racchiude, nella ricreazione di un ambiente chiuso e in rovina, elementi a sorpresa, come stipi e porte segrete, che contribuiscono alla drammatica apprensione che solo nel finale lascia il posto allo sgomento.

Pubblico molto numeroso al Teatro Alfieri di Asti ed evidente plauso finale.

Visto il 25-01-2014
al Alfieri di Asti (AT)