Napoli, teatro di San Carlo, “Parsifal” di Richard Wagner
UN PERCORSO INTERIORE VERSO LA CONOSCENZA
Parsifal ha inaugurato la stagione del San Carlo, a pochi giorni dal Tristan und Isolde della Scala. Parsifal è lontana dall'inquietudine tormentata del Tristan ed è immersa in un clima mistico, un dramma intriso di intimismo e simbolismo con tanti, evidenti rimandi alla religiosità ed alla religione.
L'origine del nome Parsifal Wagner la fa derivare da “puro folle” ma, a mio avviso, potrebbe derivare da πυνθάνομαι (chiedere, informarsi). E, forse, da qui parte il regista Federico Tiezzi, che sente la partitura come il doloroso cammino dell'umanità verso la perfezione (intesa come l'adesione completa alla vita, alla realtà), come la possibile liberazione di ogni essere umano dalle tenebre dell'ignoranza. Così Parsifal è colui che pensa, che cerca dentro di sé e nella realtà, colui che si interroga e che interroga, colui che chiede, che si informa (ecco la mia idea sulla possibile etimologia del nome dal greco antico), come l'immagine sul velario ad inizio rappresentazione: un uomo seduto con la testa fra le mani.
In Parsifal le azioni sono pressochè inesistenti. Nella messa in scena di Tiezzi la drammaturgia è mera azione interiore, un viaggio verso la conoscenza, il cammino verso la luce: il primo atto è buio, il secondo ha gradi intermedi (comunque spenti, cinerei) di colore, la fine è nel bianco abbacinante della luce. Il resto è scomparso, via ogni elemento naturalistico, nessun attrezzo e nessun orpello (se non i bei costumi di Giovanna Buzzi, di favola, simbolici ed allusivi), una scena profonda come lo sguardo dello spettatore che scruta dentro se stesso, linee che spingono l'occhio verso un punto lontano, immagini rarefatte per concentrarsi sull'idea portante: il percorso interiore verso la conoscenza, dal buio alla luce, dall'ignoranza alla verità, dalla cecità del non-sapere alla luce di chi sa, di chi ha la conoscenza.
I pochissimi gesti, allusivi e rarefatti, si ammantano di ieraticità, sullo sfondo delle scene di Giulio Paolini con rimandi alla classicità (l'Hermes di Prassitele, colonne doriche sospese nell'aria, Kundry come il frammento del fregio del Partenone al British, i cavalieri nel terzo atto ad emiciclo come in un odeon).
Particolarmente interessante la presenza dei libri. Parsifal, più che il “puro folle”, è “colui che non sa”: ignora le sue origini e la sua provenienza, ignora persino chi egli sia (si siede a pensare con la testa tra le mani come l'uomo sul velario). Allora, per chi non sa, i libri sono al tempo stesso il cibo quotidiano e il cibo per l'anima, elemento salvifico, corpus christi. Così i vecchi saggi hanno davanti a loro sul tavolo dei libri, pane dell'ultima cena, cibo per la “Cena”.
(Così il “Monologo del non so” è, forse, il momento più alto dei versi di Mariangela Gualtieri e del suo emozionante Parsifal, pubblicato anche da Einaudi).
Il cast è composto da esperti. Impressionante per adesione fisica al ruolo e per vocalità magnifica il Parsifal di Klaus Florian Vogt. Kristinn Sigmundsson è un canuto e autorevole Gurnemanz, vestito da tibetano; Albert Dohmen è un profondo, corretto Amfortas; Lioba Braun affronta generosamente l'ardua parte della misteriosa Kundry, soprattutto nel secondo atto, durante il lungo confronto con il protagonista: nell'innocenza non c'è conoscenza, la “colpa” (intesa in senso non cattolico) consente a Parsifal di conoscere. Con loro Markus Hollop (Titurel), Pavlo Hunka (Klingsor) ed i tanti ruoli di contorno. Coro preparato da Marco Ozbic, poco esatto nei momenti fuori scena.
Il giovane Asher Risch (che ha sostituito Jeffrey Tate) è discepolo di Barenboim e dirige l'orchestra del San Carlo preparata (e notevolmente migliorata) da Tate: così ha il tormento del primo e la leggerezza del secondo, ma non convince fino in fondo, perchè non riesce a sottolineare le particolarità delle pagine musicali e tende ad allargare i tempi.
Pubblico numeroso ma tiepido, annoiato e poco “catturato” dalla rappresentazione.
Visto a Napoli, teatro di San Carlo, il 15 dicembre 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)