Lirica
PARTENOPE

Modena, teatro Comunale, “Par…

Modena, teatro Comunale, “Par…
Modena, teatro Comunale, “Partenope” di Georg Friedrich Händel PARTENOPE GIOCA A SCACCHI Ricorre quest’anno il 250° anniversario della morte di Georg Friedrich Händel e il Teatro Comunale di Modena, in coproduzione col Teatro Comunale di Ferrara, il Teatro San Carlo di Napoli e l’Opéra National de Montpellier, ha ricordato l’evento mettendo in scena l’opera in tre atti Partenope, su libretto di Silvio Stampiglia e in prima rappresentazione italiana in epoca moderna. Partenope si colloca all'interno del più prolifico periodo creativo di Händel come operista che, dopo il successo del Rinaldo, decise di dedicarsi alla gestione del King's Theatre di Londra, per il quale scrisse la bellezza di ventuno opere tra il 1720 ed il 1734. Partenope fu messa in scena il 12 febbraio 1730, dopo che il compositore ebbe apprezzato l'opera di Leonardo Vinci sul medesimo libretto di Stampiglia, che narra le vicende della regina-guerriera fondatrice di Napoli, della rivalità tra i suoi pretendenti, del suo amore per Arsace, già amante di Rosmira, principessa di Cipro, che si nasconde in abiti maschili. Sono evidentemente presenti tutti gli elementi caratteristici dell'opera barocca che Händel tratta da grande maestro della convenzione e nel rispetto della moda italiana in voga nell'Europa della prima metà del Settecento: azione drammatica liberamente ispirata a personaggi storici, distribuzione accorta e gerarchica delle arie tra i protagonisti, recitativo secco per i dialoghi e molta parsimonia nell'impiego dei concertati. Partenope, pur non essendo tra i capolavori del maestro, è una felice riscoperta per la presenza di alcune arie di carattere e per una drammaturgia essenziale, in cui i meccanismi dell'opera seria sono palesati con cristallina evidenza. Non sono sfuggiti questi elementi all'eccellente e asciutta concertazione di Ottavio Dantone, direttore e maestro al cembalo, presenza quasi obbligata per una simile operazione. L'Accademia Bizantina, che ha sostituito non senza polemiche la Cappella della Pietà dei Turchini, ha sfoggiato una sonorità sobria, sostenuta però da un fraseggio molto curato che ha giovato soprattutto alla scorrevolezza del disegno drammatico-musicale, eseguito in maniera ineccepibile, offrendo un tessuto sonoro compatto e arabescato, con ogni suono dipanato come se fosse l'assieme di più solisti fusi armonicamente. Dantone ha modellato i suoni, li ha ammorbiditi, quasi mai irrobustiti neanche dove sarebbe possibile, li ha resi totalmente disponibili alla primogenitura delle voci: una lettura senz’altro scorrevole, la sua, testualmente attendibile, ma anche poco contrastata. Cast vocale di buon livello. Su tutti emerge Sonia Prina nel ruolo di Rosmira, cantante di affidabilità ed esperienza oltre che bravissima attrice e di grande prestanza vocale. Elena Monti (Partenope) ha trillo facile e naturale, un po’ acerba ma convincente dal lato canoro e interpretativo. Marina De Liso nel ruolo en travesti di Arsace offre belle e morbide bruniture, interpretando il suo personaggio con trasporto accorato, ruolo difficile anche per il numero elevato di arie. L’Armindo di Valentina Varriale è fresco ed energico e voce esperta nel repertorio antico. Gianpiero Ruggeri (Ormonte) è il tipico baritono per le figure complementari del periodo barocco, chiaro, morbido, elegante nel fraseggio. Cyril Auvity, impegnato nel ruolo rilevante di Emilio, si è distinto per qualche passaggio di agilità relativamente fluido, ma anche per i suoni brutti e forzati delle note più basse. Forse l’utilizzo di controtenori avrebbe potuto spezzare la monotonia timbrica, d’accento ed espressione che emergeva dal gruppo massiccio d’interpreti femminili, aumentando il gioco e la varietà delle situazioni e dei personaggi. La maggiore curiosità veniva dall'allestimento minimalista di Giuseppe Frigeni, in bilico fra geometrie dematerializzate (delle colonne corinzie restano solo le scanalature verticali) e archeologia teatrale (i personaggi vestono pomposamente e si atteggiano plasticamente come i castrati e i soprani delle stampe settecentesche). La regia muove i cantanti come elementi di una scacchiera seguendo linee prospettiche tracciate sul palcoscenico, non senza punte di caricaturalità ed ha insistito sulla sofisticata trama sentimentale dell'opera, agendo anzitutto su una dimensione atemporale e simbolica. Non sono mancati riferimenti al carattere barocco, artificioso e meccanico della drammaturgia handeliana. L’artificiosa gestualità voluta da Frigeni ha trasformato l'opera in una grande azione appagante anche se la staticità e la lenta semovenza dei personaggi alla fine hanno appesantito la rappresentazione. Una nota particolare alle stupende luci di fondo, sempre corrispondenti ai bellissimi e filologici costumi dei personaggi realizzati da Regina Martino: ognuno aveva un colore specifico, soluzione che è si è rivelata funzionale, fra l’altro, all’identificazione sulla scena dei singoli ruoli. Teatro con diversi posti vuoti, pubblico plaudente ma un po’ distaccato: l’opera barocca continua a tardare a far breccia nel paese del melodramma. Visto a Modena, teatro Comunale, il 10 febbraio 2009 Mirko Bertolini
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